Cerca nel blog

Visite

Archivio blog - posta a rsu@provincia.cuneo.it

18 gennaio 2015

Province Il disastro dei fatti, negato da propaganda e corifei

Province Il disastro dei fatti, negato da propaganda e corifei. un articolo di Luigi Oliveri tratto da rilievoaiaceblogliveri. Terra bruciata, disastro, macerie, deserto. Le conseguenze pratiche della riforma delle province, ora che è entrata a regime, anche attraverso gli aggravamenti della legge di stabilità, sono sotto gli occhi di tutti. Nessuna provincia in grado di approvare il bilancio di previsione 2015, moltissime ad aver sforato il patto di stabilità 2014, diverse in pre-dissesto, due in dissesto (ma al dissesto arriveranno tutte entro il 2016), a macchia di leopardo servizi ai cittadini negati: chi manutenzione strade, chi manutenzione scuole, chi trasporto disabili, chi arredi scolastici, chi salvaguardia del territorio, chi, ancora, servizi di aiuto agli studenti disabili sensoriali. E ancora, per effetto della legge di stabilità, staffetta generazionale tradita, idonei dei concorsi senza prospettive, 20.000 dipendenti provinciali che non conoscono il proprio destino, servizi per l’impiego in bilico tra una funzione non più provinciale ed un’Agenzia Nazionale per l’Occupazione non ancora costituita, assunzioni bloccate per tutte le amministrazioni, ma continue violazioni al blocco delle assunzioni stesse. Una riforma fatta “contro” una tipologia di ente, che si è rivelata, a causa della sua frettolosità, ideologicità, populismo e pessima qualità, un totale disastro. Come facilmente preventivabile e sempre preventivato da chi scrive: bastava guardare alla realtà, oltre che alla costruzione (eufemismo) della norma. In una sconcertante lettera al Corriere della sera del 4 agosto 2013 l’allora Ministro per gli affari regionali, Graziano Delrio, cui si deve la paternità dello scempio apportato dalla legge 56/2014, ne aveva, ovviamente, esaltato le magnifiche capacità miracolistiche. Delrio narrava, estasiato, dello “spazio che le regioni avranno nel guidare processi di riordino dell’assetto istituzionale o di ripensamento degli ambiti ottimali di gestione dei servizi”. Infatti, la legge 190/2014 ha tagliato alle regioni 4 miliardi di euro e cerca, surrettiziamente, di accollare alle regioni i costi del personale provinciale in soprannumero e delle funzioni provinciali non fondamentali; ma, le regioni, visti i tagli subiti e le ulteriori spese che dovrebbero accollarsi (circa 3 miliardi), laddove davvero acquisissero funzioni e personale provinciali, si sono guardare bene dall’approvare le leggi di riordino che secondo la legge 56/2014 avrebbero dovuto vedere la luce nell’ottobre 2014, data slittata al 31.12.2014 per effetto dell’accordo Stato-regioni dell’11.9.2014, ma, in realtà, destinata al mai e poi mai. Chissà se l’attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, rileggendo le proprie dichiarazioni, si renda conto che le regioni non hanno affatto avuto ruolo di guida nel riordino, né sono lontanamente sfiorate dal ripensamento degli ambiti dei servizi. E’ un obiettivo raggiunto? E’ un risultato positivo, quello sotto gli occhi di tutti? Sempre in quella lettera, Delrio aveva poi sentenziato: “i risparmi sono certi e potenzialmente elevati in una prospettiva di ripensamento territoriale”. A parte che nessuno ha mai capito cosa sia “una prospettiva di ripensamento territoriale”, i risparmi della legge Delrio non sono mai stati né certi, né potenzialmente elevati, in quanto nemmeno esiste, nella legge 56/2014, una norma finanziaria. Infatti, per provare a conseguire “risparmi” all’assenza di qualsiasi norma in merito della legge Delrio ha provato a supplire la legge di stabilità 2015, con i famosi “tagli” di cui, ancora, i giornali si ostinano a parlare. Sì, perché la parola “tagli” dà, in effetti, l’idea che qualcuno, subiti i tagli, debba risparmiare, sicchè da qualche parte si verifica nella gestione della cosa pubblica una minore spesa, correlata, pertanto, a minor prelievo fiscale. Le cose, invece, stanno in modo totalmente diverso. La legge 190/2014 non taglia assolutamente nulla alle province, ma impone loro, invece, un versamento coatto alle casse dello Stato. Il miliardo di “tagli” di cui supinamente tutta la stampa parla non è un risparmio di spesa, ma una spesa obbligatoria che le province debbono sostenere per trasferire questi soldi allo Stato (l’esatto contrario di quanto prevede la Costituzione ed ogni regola “federalista”), il quale Stato spende per fini propri queste risorse. E tale versamento coatto diverrà di 2 miliardi nel 2016 e 3 miliardi nel 2017: in pratica, le province faranno da gabellieri per conto dello Stato, prelevando dai propri cittadini tasse, per assegnare rilevantissima parte del prelievo allo Stato, che poi le spende per fini tutto affatto diversi da quelli dei servizi pubblici provinciali. Né le tasse provinciali si ridurranno, perché lo stock di entrate delle province serve a garantire questo immenso versamento coatto alle casse statali. Chissà se l’attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, rileggendo le proprie dichiarazioni, si renda conto che non c’è stato alcun risparmio, né certo, nè potenzialmente . E’ un obiettivo raggiunto? E’ un risultato positivo, quello sotto gli occhi di tutti? Lo scoramento viene, tuttavia, quando ci si rende conto che valutare l’azione di un Governo e l’efficacia delle leggi che produce ed induce il Parlamento ad approvare a suon di fiducie, utilizzando il criterio valutativo, cioè l’analisi dei risultati quantificabili, non serve assolutamente a nulla. Se ideologia becera e populismo sono la fonte di una legge, allora si può star certi che nessuna evidenza quantitativa, qualitativa e numerica può smuovere gli autori della pessima normazione dall’idea precostituita che la loro iniziativa sia giusta e corretta. Essi autori si rifugiano nelle formule arcane, quelle alla Petrolini-Nerone, che fanno scappare sempre un “bravo!” a cortigiani e, soprattutto, al popolo. “Lo vedi all’urtimo come è er popolo? Quanno si abitua a dire che sei bravo, pure che non fai gnente, sei sempre bravo” (Petrolini). Ed era una formula del tipo “… più bella e più superba che pria!”, perché “il popolo, quando sente le parole difficili, si affeziona”. Dunque, Delrio nella lettera dell’agosto 2013 non potè certo esimersi dall’affermare “Certamente se ci poniamo in un’ottica solo burocratico-amministrativa di riparto di vecchie funzioni provinciali non ci sarà nessuna innovazione, ma se assumiamo la prospettiva di territori che vedono in questa riforma l’occasione per guardare al futuro, per affrontare la sfida di ripensare le proprie strategie di crescita e coesione, per riformulare le proprie politiche pubbliche e riorganizzare i propri sistemi amministrativi allora il vuot si trasforma in spazio di innovazione”. Il “parlare difficile” che, senza assolutamente avere alcuna utilità alla verifica dei fatti e dei risultati, fa affezionare il popolo. E, dunque, il sottosegretario rilancia in una dichiarazione al Venerdì di Repubblica del 16 gennaio: “La riforma è nata per semplificare i livelli della pubblica amministrazione, fare chiarezza nelle competenze e fare delle province enti snelli ed efficienti al servizio dei comuni. La riorganizzazione deve garantire l’efficacia dei servizi e il mantenimento dei posti di lavoro, portando avanti risparmi certi, con responsabilità. Lo Stato si può migliorare e razionalizzare. E’ vero, i tagli sulle province sono profondi, ma per i nuovi compiti i soldi ci sono”. Nessuna valutazione degli effetti, nessun riferimento ai risultati, nessuna autocritica: per Delrio il tempo si è fermato a quell’agosto 2013, il tempo ancora delle dichiarazioni arcane, delle parole vuote, senza alcuna verifica fattuale, senza alcun aggancio alla realtà. Non una sola delle dichiarazioni al Venerdì è fondata e aderente a quanto avviene. La consapevolezza che questa china devastante, presa, purtroppo, non solo sul tema della pessima riforma delle province, non può sboccare in strade diverse si ha quando si leggono le dichiarazioni dei corifei, che sulla linea del parlare per enigmi, dogmi e solo rivolti al futuro, senza cifre, senza fatti. Come Michele Salvati che sempre sul Venerdì di Repubblica del 16 gennaio, dichiara: “Certo, si poteva fare di più, forse era meglio intervenire sulle regioni, ma nel lungo periodo penso che benefici e risparmi si vedranno”. Nel lungo periodo? Quanto lungo? Ma, la riforma non doveva dare risultati immediati, far nascere “finalmente” le taumaturgiche città metropolitane? E i “risparmi che si vedranno”? Sempre un futuro, lontano, incerto, da far solo vedere come possibile, per quanto leggendario. Per creare nel popolo un anelito e distrarlo dal disastro visibile. Guardare lontano, per non far vedere terra bruciata, disastro, macerie, deserto, ciò che è sotto gli occhi.

Nessun commento:

Posta un commento

posta a rsumembri@gmail.com