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Archivio blog - posta a rsu@provincia.cuneo.it

17 maggio 2012

Neo eletti rsu: rinnovo invito ad aderire al blog

A cura di Claudio Bongiovanni, Guido Marino, Franco Ferraro, Gianpaolo Viale, Cristina Lavina, Valter Giordano, Diego Reineri.

A seguito dell'esito delle elezione RSU,  alcuni colleghi hanno lasciato la rsu, altri, neo eletti, sono divenuti parte attiva della nostra rappresentanza.

Su un totale di 15 rappresentanti, ben 11 hanno aderito al blog.

Invitiamo pertanto i 4 componenti (n.2 eletti nelle file della CISL e n. 2 in quelle del CSA) che ancora non si sono registrati al blog a procedere con l'accredito, considerato che alcuni (componenti CISL della RSU) già abitualmente sottoscrivono appositi post regolarmente pubblicati.

Preghiamo inoltre tutti quanti di non pubblicare comunicati di singole segreterie sindacali, considerato che le suddette già dispongono di propri siti internet di informazione sindacale.

Riforma delle province, la Consulta fissa l’udienza per la trattazione dei ricorsi costituzionali

Claudio Bongiovanni, Guido Marino, Franco Ferraro, Valter Giordano e Diego Reineri

 E’ stata fissata per il 6 novembre prossimo, in udienza pubblica, la trattazione dei ricorsi presentati alla Corte Costituzionale da sei Regioni – Piemonte, Lombardia, Veneto, Molise, Lazio e Campania – per la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 23 commi 14-21, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito in Legge 22 dicembre 2011, n. 214.

Per approfondimenti: leggioggi.it

16 maggio 2012

Codice Autonomie: Province su incontro Regioni e partiti

Componenti RSU CISL:
Bessone-Scarzello-Punzi-Fea-Rosso

Codice autonomie: Province su incontro partiti regioni


“Apprendiamo dalle Agenzie di stampa che oggi le Regioni inizieranno una serie di incontri con i partiti politici sul Codice delle Autonomie. Ricordiamo che questo testo, che è fondamentale per Comuni e Province perché interessa direttamente il futuro assetto di queste istituzioni, è fermo da oltre un anno all’esame della Commissione Affari Costituzionali del Senato. Non vorremmo che proprio ora, dopo che i relatori hanno concluso con buoni risultati il loro lavoro presentando emendamenti puntuali, si rimetta in discussione un percorso che è già stato costruito attraverso tanti momenti di riflessione”. Lo dichiara il Presidente dell’Upi, Giuseppe Castiglione, in merito alla notizia apparsa sulle agenzie di stampa che annuncia una serie di incontri con i partiti politici per parlare di Codice delle Autonomie, il testo all’esame del Senato che riguarda solo Comuni e Province e disegna le nuove funzioni assegnate a ciascun ente locale.

“Ora più che mai – sottolinea Castiglione – è decisivo che il testo sia approvato in Senato entro la fine del mese, perché è attraverso la nuova definizione delle funzioni di Province e Comuni, prima ancora che dalla spending review, che potremo produrre risparmi per la spesa pubblica, cancellando tutte le duplicazioni e i centri di spreco rappresentati dagli enti strumentali, e rendere efficiente e moderna l’amministrazione locale”.

Nasce nel Veneto il coordinamento delle Polizie Provinciali

A cura di Claudio Bongiovanni, Valter Giordano, Franco Ferraro, Guido Marino e Diego Reineri

Tema: Organizzazione del Lavoro

15 Maggio 2012 - 16:51

Le Province del Veneto costituiscono il ''Coordinamento delle Polizie provinciali'', azione che portera' alla gestione sinergica delle forze di vigilanza e protezione civile sul territorio. Il Protocollo d'intesa e' stato firmato durante l'ultima riunione dell'Upi Veneto, tenutasi a Padova venerdi' scorso.

Il protocollo prevede il coordinamento dei servizi di vigilanza e controllo sul territorio delle diverse realta' venete, nell'ottica di potenziale e migliorare le attivita' istituzionali, la stipula di piani e programmi operativi coordinati, organizzazione e gestione di servizi di comune interesse operativo e di protezione civile, pianificazione coordinata per l'acquisizione di personale e risorse tecniche, formazione integrata.

In particolare, viene costituito un organismo definito ''Comitato tecnico'' composto dai rispettivi comandanti o responsabili di ogni provincia.

''Ancora una volta, le Province del Veneto si dimostrano virtuose e decidono di mettere in rete il proprio servizio di Polizia Provinciale - spiega Leonardo Muraro, presidente dell'Upi Veneto e della Provincia di Treviso -. In questo modo, costituiremo un vero e proprio Coordinamento delle Polizie Provinciale, che garantira' un sempre maggior controllo del territorio, vigilanza costante e risposte certe e tempestive per i nostri cittadini, oltre che un notevole risparmio ottenuto dalle economie di scala che verranno a crearsi''.

''Se ancora qualcuno avesse bisogno di conferme - conclude Muraro - le Province del Veneto dimostrano di saper razionalizzare e ottimizzare la spesa e i servizi. Di fatto, abbiamo messo insieme un corpo di circa 200 uomini in tutto il Veneto''.

IL MINISTRO PATRONI GRIFFI: "LO STATALE? NON SI LICENZIA"

A cura di Claudio Bongiovanni, Valter Giordano, Franco Ferraro, Guido Marino e Diego Reineri

Da "Il Corriere della Sera" di mercoledì 28 marzo 2012

» I Pubilizo impiego «Si applicano norme ad hoc, con la mobilità». Domani il vertice con i sindacati Il ministro Patroni Griffi:
«Lo statale? Non si licenzia» ROMA 41 pubblico impiego è un capitolo a parte. I sindacati plaudono alla presa di posizione del ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi, che in una lettera al Messaggero segnala che il licenziamento per motivi economici non «può trovare applicazione nel pubblico», in quanto in questi casi c`è «una disciplina ad hoc»: scatta, infatti, una serie di procedure «che portano alla mobilità dei lavoratori presso altre amministrazioni e alla eventuale collocazione in disponibilità con trattamento economico pari all`8o% dell`ultimo stipendio per due annualità». La legge, insomma, esiste già e, quindi, la riforma del lavoro, per quel che riguarda l`articolo i8, non si deve estendere al pubblico impiego, dice in sostanza il ministro che sembra più che altro intenzionato a disinnescare una delle possibili forti ragioni di contestazione nel corso del dibattito parlamentare sul provvedimento. Visto che già il Pdl, come ha ribadito ieri la senatrice Simona Vicari, «ritiene necessario fare uno scatto in avanti e approvare la riforma prima dell`estate, estendendo le norme dell`articolo 18 anche al pubblico impiego. Su questo punto il Pdl è stato chiaro». L`appuntamento per chiarire la situazione, è, comunque, per giovedì, quando i sindacati dovrebbero incontrare Patroni Griffi a Palazzo Vidoni.
Quello del ministro «è stato un chiarimento opportuno», hanno chiosato i responsabili di categoria di Cgil, Cisl, Uil, mentre tra gli economi- sti ha fatto sentire una voce dissonante Tito Boeri, per il quale le leggi che hanno introdotto e regolato i licenziamenti individuali nel settore pubblico prevedono che valga comunque lo stesso regime in vigore per i dipendenti privati. La riforma, «quindi, inevitabilmente coinvolge anche i lavoratori pubblici, a meno che venga scritto esplicitamente che non si applica a loro». Ci vorrebbe insomma, per Boeri, «un dispositivo ad hoc».
I sindacati, però, non vogliono cedere.
Per Michele Gentile, della Cgil, la discussione nasconde «il fatto che qualcuno ha un`idea proprietaria, privatistica, della pubblica amministrazione.
Si vuole colpire il lavoro pubblico per colpire il pubblico». Gianni Baratta della Cisl sostiene che l`art.i8 nel pubblico impiego «non è una priorità, casomai va gestito il riequilibrio in una logica di mobilità contrattata, o, per usare un termine del ministro, guidata».
Quanto alla Uil, Paolo Pirani ritiene che sia «giusto chiarire come stanno le cose: Patroni Griffi fa una puntualizzazione sulle differenze normative tra pubblico e privato».
Pirani, come Baratta e Gentile, si sofferma però con più attenzione sulla parte della riforma messa a punto da Elsa Fornero che riguarda la revisione dei contratti e le nuove regole per l`ingresso nel lavoro, indirizzate a ridurre la precarietà per i giovani e i meno giovani. L`apprendistato diverrà, in quest`ottica, il rapporto privilegiato, mentre verrà in pratica cancella- to l`utilizzo a dismisura degli stage e verranno decisamente depotenziati i contratti a progetto e i co.co.co, che potrebbero facilmente diventare rapporti di impiego subordinato. Per non parlare dei contratti a tempo determinato non rinnovabili oltre i tre anni. Nei ministeri, i giovani che sbarcano il lunario lavorando in queste forme di impiego provvisorie sono molti. Come si concilierà la nuova normativa con quella che prevede, oltre al blocco della contrattazione, il freno al turn-over nelle scuole, come nei ministeri e negli enti locali? Oggi, osserva Pirani, «c`è un uso improprio nella Pubblica amministrazione dei precari, c`è la reiterazione per molti anni dei contratti a tempo determinato, dei co.co co che sono rimasti solo lì e c`è la spesa notevole, pari a 1,2 miliardi secondo la Corte dei Conti, per le consulenze. Quindi, di fatto, c`è già un aggiramento delle norme inaccettabile». Anche per la Cgil le priorità sono «precarietà, ammortizzatori, nuovo modello contrattuale e rinnovi contrattuali».
Secondo i dati più recenti nella Pubblica amministrazione, tra statali, dipendenti degli enti locali e via dicendo, i lavoratori a tempo determinato erano a fine 2009 quasi 95 mila, mentre i collaboratori (Co.Co.Co) circa 49 mila e gli interinali 12 mila. A fronte di quasi 3,4 milioni dipendenti a tempo indeterminato.
Stefania Tamburello chiarimento Cgìl, Cisl e Uil: un chiarimento necessario e opportuno dopo la confusione sulla riforma dell`articolo 18 Vale per i pubblici Ma Boeri: inevitabilmente coinvolge anche i lavoratori pubblici, a meno che venga scritto esplicitamente O RIPRODUZIONE RISERVATA Filippo Patroni Griffi, ministro della Pubblica amministrazione

15 maggio 2012

Province verso l'accorpamento

Componenti  CISL RSU 

Bessone-Scarzello-Punzi-Fea-Rosso 


Italia Oggi

Le Province verso l'accorpamento

Umbria, la regione coinciderebbe con la sola provincia di Perugia
 di Marco Bertoncini  

Forse si avvicina il preannunciato taglio alle province. Indubbiamente, governo e parlamento non potranno limitarsi a regolare l'elezione (diventata di secondo grado) degli organi provinciali, ma dovranno procedere ad accorpamenti.
Secondo le voci che circolano, l'ambizioso piano sarebbe di ridurre a una cinquantina gli enti intermedi, sorta di «grandi aree», nel cui territorio serbare le prefetture, gli ex provveditorati agli studi e in generale gli organismi decentrati dello Stato finora operanti su base provinciale.

Sempre secondo i sussurri che arrivano dai palazzi ministeriali, la base demografica sulla quale operare varierebbe da 250mila a 400mila abitanti. Insomma, le attuali province che non raggiungono tale popolazione dovrebbero essere unite ad altre contermini, rispettando però i confini regionali (il passaggio di comuni e province da una regione a un'altra richiede un lungo procedimento). Attualmente vige, quanto a popolazio-ne legale, il dpcm 2 aprile 2003, che ha reso ufficiali i risultati del censimento del 2001, ma si presume che ci si riferirà ai numeri provvisori del censimento del 2011, già resi noti dall'Istat, o ad altri dati recenti.

Va ricordato che la riforma delle province non toccherà le regioni a statuto spe-ciale. La Sardegna, in verità, ha già provveduto due domeniche addietro, grazie all'esito dei referendum che hanno abrogato le quattro mini province (ciascuna con due capoluoghi) create qualche anno fa. Si attende, dopo la proclamazione ufficiale, l'emanazione (entro cinque giorni, da parte del presidente regionale) di decreti abrogativi delle norme che istituirono le province. La Sicilia ha, al momento, commissariato le «province regionali» (tale la denominazione ufficiale nell'isola) chiamate alle urne, riservandosi ogni decisione sugli enti (le più piccole sono Enna, sotto i 200mila abitanti, e Caltanissetta, sotto i 300mila).

Un problema che si pone evidente, quale che sia la soglia che dovesse adottar-si, riguarda ben tre regioni: Umbria, Molise e Basilicata. Essendo in quelle re-gioni alcune province (Terni, Isernia, Campobasso e Matera) sotto il livello dei 250mia abitanti correntemente ritenuto il più basso applicabile, ne deriverebbero accorpamenti con conseguenze paradossali. In Umbria resterebbe solo Pe-rugia, inglobante Terni. Può una regione coincidere, come territorio, con l'unica provincia? Non ci sono precedenti (la Valle d'Aosta, infatti, è una regione a statuto speciale): istituzionalmente, i due enti potrebbero sopravvivere, ma non si comprende perché, a quel punto, l'unica provincia non dovrebbe essere soppressa, con passaggio di competenze alla piccola regione.

Identico è il caso della Basilicata, in cui resterebbe soltanto la provincia di Potenza. Quanto al Molise, l'abbinamento delle due piccole province, ciascuna demograficamente debole, porterebbe a una sola amministrazione provinciale, di poco più di 300mila abitanti: nel caso la soglia identificata per abolire le pro-vince minori fosse di 400mila o di 350mila, si arriverebbe alla conclusione che nemmeno l'unica provincia nella piccola regione molisana avrebbe il minimo demografico. La verità, in questo caso, è che il Molise è una regione di minime dimensioni, che avrebbe potuto costituire una sola provincia all'interno della regione Abruzzo-Molise.

Ovviamente, stiamo parlando di problemi che non saranno trattati asetticamente, perché determineranno rivolte politiche e popolari. Basti pensare che in Sardegna alcuni giuristi, riuniti a convegno, hanno già concluso che sarebbe opportuno un intervento della Corte costituzionale per annullare l'esito dei referendum abrogativi delle quattro giovani e striminzite province. Se càpita questo con province senza alcuna tradizione, che succederà quando si dovesse passare a cancellare amministrazioni esistenti da ottant'anni? o addirittura dall'Unità d'Italia?

14 maggio 2012

Province, l'obiettivo minimo è eliminarne almeno un terzo, ma la speranza è di tagliarne la metà

Rassegna stampa a cura di Guido Marino, Claudio Bongiovanni, Valter Giordano, Franco Ferraro e Diego Reineri.

Articolo tratto dal ilsole24ore.it
di Marco Rogari con un articolo di Antonello Cherch  
13 maggio 2012

Scardinare l'impalcatura amministrativa modellata da oltre un secolo sulle Province. Il premier Mario Monti ne aveva parlato esplicitamente al momento del varo del piano di spending review. E ora il Governo ha deciso di accelerare. Non a caso di Province si è parlato anche nell'incontro di sabato al Quirinale tra il capo dello Stato, il premier, il ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi e il sottosegretario alla Presidenza, Antonio Catricalà. Il dossier è a uno stato avanzato. L'obiettivo minimo è eliminare almeno più di un terzo degli enti, ma la speranza e di tagliarne la metà. Con una sorta di effetto a cascata, ovvero l'accorpamento di una serie di strutture collegate: dalle Prefetture fino agli ex Provveditorati scolastici passando per gli Uffici territoriali del Governo.
Resta da stabilire a che punto dovrà essere fissata l'asticella. L'ipotesi di partenza è tagliare le Province con popolazione inferiore ai 400mila abitanti, anche se è più probabile che ci si fermi a quota 350mila. Ma non è da escludere del tutto un intervento più soft (eliminazione delle Province con meno di 250mila abitanti), che interesserebbe sostanzialmente un terzo degli enti. Al dossier stano lavorando vari ministri: da Anna Maria Cancellieri a Patroni Griffi. Da decidere è anche lo strumento. Due le opzioni: un disegno di legge o una delega. In ogni caso questa operazione si dovrà raccordare al piano di spending review, in particolare alla seconda fase della revisione della spesa: quella per il biennio 2013-2014 che dovrebbe essere definita in autunno e scattare insieme alla prossima legge di stabilità.
Naturalmente il taglio delle Province rappresenta la tappa finale del processo già avviato dal Governo con il decreto "Salva-Italia" attraverso il quale è stata già prevista la soppressione delle giunte provinciali e la riduzione del numero dei componenti del Consiglio della Provincia. Un intervento, quest'ultimo, per il quale il Governo il 6 aprile scorso ha varato un apposito disegno di legge che riguarda le modalità di elezione dei consiglieri.
In attesa di definire il piano-province, continua la corsa contro il tempo dei ministeri per allestire entro il 31 maggio i singoli programmi di razionalizzazione della prima fase di spending review, che dovrà garantire 4,2 miliardi di risparmi per rinviare il previsto aumento autunnale dell'Iva. «Rinviare l'aumento dell'Iva previsto a ottobre è un impegno politico del governo. E noi abbiamo comprato tempo», ha detto il ministro Giarda aggiungendo ironicamente: «Leggete bene le carte», il commissario Enrico Bondi «è un mio dipendente».
Nella cosiddetta prima fase potrebbero essere anticipate anche alcune misure da collocare nel secondo pacchetto di interventi (quello per il biennio 2013-14). A partire dalla soppressione di almeno cinque dipartimenti della Presidenza del Consiglio (nel mirino, tra gli altri, gioventù, programmazione e sviluppo economico), da accorpare ad altri dicasteri o da eliminare del tutto. Gli stessi dicasteri dovrebbero provvedere in molti casi alla riduzione dei dipartimenti interni e delle direzioni generali. Con la fase due della spending review dovrebbe scattare anche il restyling del super-ministero dello Sviluppo e di quello delle Infrastrutture.
Parallelamente scatterà il programma di razionalizzazione immobiliare: scure sugli affitti e riduzione del numero di uffici in uso a strutture centrali e locali. Tutta l'operazione dovrà amalgamarsi con il piano al quale sta lavorando da tempo il ministro Patroni Griffi: giro di vite sugli enti inutili, nuova stretta sulle auto blu, freno al personale statale "comandato" presso altre amministrazione e piano-taglia oneri burocratico a carico degli stessi uffici pubblici.

11 maggio 2012

Saltano le 4 Province sarde ma è caos

Prov. di Genova:nominato il commissario

Rassegna stampa a cura di Claudio Bongiovanni, Valter Giordano, Guido Marino, Diego Reineri e Franco Ferraro

articolo tratto dal sito: cittàdigenova.com

Fossati commissario della Provincia: "Fase molto complessa"


Genova - “Ho assunto le nuove funzioni in una fase molto complessa e delicata per le Province al centro del dibattito nazionale e delle norme sulle loro competenze e il loro stesso futuro – dice Piero Fossati, neocommissario straordinario della Provincia di Genova, appena nominato dal Presidente della Repubblica per gestire la transizione istituzionale dell’ente - ma sono assolutamente convinto che le funzioni di area vasta non possano in alcun modo prescindere dalla piena e concreta identità degli enti, come appunto le Province, che debbono svolgerle”.
La situazione in Parlamento resta ancora piuttosto nebulosa, con proposte e interventi sulle Province che si susseguono: l’emendamento Pd-Pdl (Bianco-Pastore) che attribuisce a questi enti funzioni sull’ambiente, la pianificazione territoriale, il trasporto locale, gestione e costruzione di strade provinciali, pianificazione d’urgenza in materia di protezione civile, cooperazione con i Comuni, escluderebbe però le attuali competenze sul mercato del lavoro, i centri per l’impiego, la formazione, l’istruzione e l’edilizia scolastica per le superiori. Tutte funzioni che, invece, vengono riprese dai subemendamenti dell’Unione Province d’Italia che inseriscono anche quelle sullo sviluppo economico e sociale e la difesa del suolo. Di parere ancora diverso la conferenza delle Regioni che, in un quadro di riforma costituzionale, rivendica le competenze sulla disciplina e l’organizzazione di Province, Città metropolitane, associazioni dei Comuni. “Al di là delle molte incertezze normative attuali - ribadisce il commissario Piero Fossati - gli enti intermedi, anche con un diverso assetto istituzionale e organizzativo, sono assolutamente necessari per dare adeguato supporto ai comuni più piccoli e rispondere con le proprie funzioni e compiti alle esigenze delle comunità del territorio come la Provincia e tutto il suo personale hanno ampiamente dimostrato in questi anni.”

09 maggio 2012

comunicato intesa lavoro pubblico


componenti cisl rsu - Bessone-Scarzello-Punzi-Fea-Rosso

COMUNICATO
Lavoro pubblico: definita l’Intesa tra sindacati, Governo, Regioni e Autonomie locali

“Passo importante, più forza a contrattazione e trasparenza. Ma i salari pubblici devono ripartire”

“L’Intesa definita oggi rappresenta un passo importante perché stabilisce che la riorganizzazione del pubblico impiego si fa insieme ai lavoratori pubblici, con più contrattazione, più partecipazione e più trasparenza” così si può commentare l’Intesa sul lavoro pubblico che la Cisl e le altre sigle sindacali hanno messo a punto oggi con Governo, Regioni e Autonomie locali.

Il documento,  “prende le mosse dall’intesa del 4 febbraio 2011”, e stabilisce i principi di fondo che dovranno rientrare nella legge delega sul pubblico impiego. Per portare ad una revisione profonda della c.d. “Riforma Brunetta” .“E’ un accordo di alto profilo che rimette i lavoratori al centro delle relazioni sindacali nel pubblico impiego”. “La contrattazione è definita come la fonte deputata per determinare retribuzioni e rapporti di lavoro, c’è un pieno riconoscimento del ruolo delle Rsu, la mobilità è riportata alla concertazione e a percorsi di formazione e qualificazione professionale. Si pone anche la premessa per risolvere in modo positivo il contenzioso che per mesi abbiamo sostenuto, in particolare nella scuola, in difesa delle prerogative contrattuali su importanti aspetti dell’organizzazione del lavoro e della gestione del personale”.

Si riapre adesso una stagione di coinvolgimento dei lavoratori pubblici nella trasformazione dei servizi: “La trasparenza, sulla quale abbiamo insistito molto in questi mesi, diventa finalmente la pietra angolare su cui costruire il controllo vero della spesa pubblica, mentre la valutazione e i premi di produttività per i lavoratori si collegano alla performance organizzativa degli enti: vale a dire a quanto l’amministrazione riesce a rispondere ai bisogni delle persone e delle imprese. Superando in questo modo criteri grossolani come le tre fasce o le pagelle”.

“Il punto però ora è far ripartire le retribuzioni dei dipendenti pubblici e della scuola”. “L’Intesa recepisce il principio secondo cui parte dei risparmi di spesa pubblica che i lavoratori contribuiscono a generare debbano andare ai salari. Su questo ci aspettiamo concretezza e rapidità. Da parte del Governo, ma anche da parte di governatori, sindaci e presidenti di provincia”.



intesa lavoro pubblico -scheda


RSU CISL - Bessone-Scarzello-Punzi-Fea-Rosso


INTESA SUL LAVORO PUBBLICO  (superate le fasce Brunetta)

L’Intesa apre una nuova stagione di confronto che avvia una revisione della normativa legislativa per nuovi spazi di tutela contrattuale del lavoro pubblico. È un passo importante che premia la costanza con cui la CISL in questi anni ha difeso il ruolo della contrattazione collettiva e delle relazioni sindacali in un quadro politico diverso che sta affrontando i temi del lavoro anche nel settore privato.

Il percorso di questo confronto si articola in un’Intesa che costituisce la base per definire i criteri di una legge delega per poi giungere a un decreto legislativo indirizzato alla revisione della disciplina sia di alcuni aspetti del rapporto di lavoro sia delle relazioni sindacali.

I punti principali del documento riguardano:

- In materia di relazioni sindacali, si recuperano le altre modalità di confronto che integrano quella della sola informazione che saranno definite anche per materie e livelli dalla contrattazione collettiva.

- Il nuovo modello di relazioni sindacali riguarda anche la gestione delle riorganizzazioni e della lotta agli sprechi comprese le ventilate ipotesi di spending review..

- Questo significa che viene valorizzata la funzione della contrattazione collettiva sia come fonte privilegiata per la definizione dell’assetto della retribuzione, sia come strumento di regolazione del rapporto di lavoro.

- Questo ruolo si svolge immediatamente, a normativa vigente, anche per i piani di riorganizzazione che consentono di destinare parte delle economie alla contrattazione integrativa,

- Si superano le fasce di merito previste dal d.lgs. 150/2009 e si valorizza la performance organizzativa rispetto a quella individuale

- È previsto anche il rafforzamento delle relazioni sindacali nei processi di mobilità collettiva, con connessi processi di riqualificazione del personale, nonché il riconoscimento del ruolo delle RSU nei luoghi di lavoro.

- Nell’ottica di avvio di un quadro generale di riferimento per i rinnovi contrattuali è anche previsto il superamento dell’attuale numero limitato dei comparti in modo da adattarli meglio alle caratteristiche istituzionali e organizzative delle amministrazioni.

- Sulle tipologie dei rapporti lavoro si prevede, entro il mese di maggio, l’avvio di un tavolo per portare a soluzione il problema degli attuali lavoratori precari e per individuare interventi finalizzati al superamento a regime di questa situazione.

- In questa prospettiva si conferma il rapporto di lavoro a tempo indeterminato come rapporto principale per l’accesso al lavoro pubblico e si precisano criteri per affrontare in sede di decreto legislativo e di contrattazione collettiva le flessibilità possibili per specifiche professionalità e settori. Si prevede inoltre la possibilità che l’esperienza acquisita in sede di lavori a termine sia utile e valutabile quale requisito in fase di concorso

- A proposito delle sanzioni disciplinari si specifica che anche per via contrattuale vanno riorganizzate le tipologie di inadempimenti e sanzioni e si conferma il principio di stabilità del rapporto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo.

- Si conferma il ricorso alla mobilità volontaria per far fronte al fabbisogno delle amministrazioni, ma per professionalità infungibili e quindi altamente specializzate rispetto alla singola amministrazione si consente di superare la preventiva procedura di mobilità.

- Infine, si prevede il rafforzamento dell’autonomia dirigenziale rispetto alla responsabilità politica per eliminare anche le residuali ipotesi di spoil system.

Lavoro pubblico: sottoscritto l’intesa tra le OO.SS. e Patroni Griffi

Rassegna stampa a cura di Guido Marino, Franco Ferraro, Valter Giordano, Diego Reineri e Claudio Bongiovanni

L'accordo riguarda alcuni aspetti importanti come le relazioni sindacali, la dirigenza, le nuove regole del mercato del lavoro pubblico e prevede l'introduzione di un esame congiunto con le organizzazioni sindacali per alcune materie da individuare''.
Per quanto riguarda il mercato del lavoro pubblico l'ipotesi ribadisce la centralità del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con una conseguente restrizione sui contratti flessibili, ferma restando la possibilità di deroghe per particolari settori (sanità, ricerca, istruzione).
Sul tema dei licenziamenti disciplinari l'accordo prevede un riordino normativo degli stessi, ferma restando la competenza dei contratti collettivi nazionali (come avviene nel privato). Sui meccanismi di valutazione e sulla premialità l'intesa prevede una razionalizzazione del sistema, mediante una minore rigidità, ma lasciando inalterato il sistema di garanzia che eviti la distribuzione a pioggia delle risorse destinate agli incentivi.
Vi è infine una previsione di intervento sulla dirigenza, cui verrebbe garantita una maggiore autonomia rispetto all'organo di indirizzo politico.
L'ipotesi, dopo le varie formalità, sarà firmata definitivamente entro la settimana prossima e, successivamente, le materie oggetto dell'accordo saranno inserite in una delega legislativa.

link al testo integrale del documento di intesa

articolo tratto da LASTAMPA.IT

redatto da Roberto Giovannini

Dopo le guerre ferocissime tra Renato Brunetta e i sindacati del pubblico impiego, con il suo successore sulla poltrona della Pubblica Amministrazione Filippo Patroni Griffi a quanto pare torna a splendere il sole sui rapporti tra organizzazioni sindacali e ministero. Nella notte tra giovedì e venerdì è stato infatti siglato un ampio accordo che ridisegna completamente le regole del lavoro pubblico rispetto all’era Brunetta. 

L’accordo - reso necessario per attuare anche nella pubblica amministrazione la riforma del mercato del lavoro Fornero, come previsto all’art.2 della riforma - è stato definito da Patroni Griffi con le confederazioni Cgil-CislUil-Ugl, le Regioni, le Province e i Comuni. «Sono soddisfatto - afferma il ministro l’intesa sarà una buona base in vista della delega legislativa che a breve presenterò al consiglio dei Ministri».

I sindacati festeggiano: sia per aver voltato pagina rispetto alla gestione precedente, ma anche e soprattutto perché l’applicazione della riforma Fornero non introduce quasi nessuna novità sul versante dei licenziamenti nel pubblico impiego. 
Si era ipotizzata l’estensione della possibilità di fare licenziamenti economici con semplice indennizzo anche nella pubblica amministrazione; invece l’unico cambiamento (probabilmente positivo) riguarderà soltanto le regole dei licenziamenti disciplinari, che verranno complessivamente riordinati «ferma restando la competenza dei contratti collettivi nazionali (come avviene nel privato)».

Non solo: l’intesa per quanto attiene alle nuove regole del mercato del lavoro pubblico ribadisce la «centralità» del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con una conseguente restrizione della possibilità di utilizzare contratti flessibili o precari (ferma restando la possibilità di deroghe per particolari settori come sanità, ricerca e istruzione). 
Altri aspetti trattati riguardano le relazioni sindacali, la valutazione, la mobilità dei dipendenti, la premialità e la dirigenza. Sui meccanismi di valutazione e sulla premialità l’intesa prevede (si legge in una nota del ministero) «una razionalizzazione del sistema, mediante una minore rigidità, ma lasciando inalterato il sistema di garanzia che eviti la distribuzione a pioggia delle risorse destinate agli incentivi». In agenda anche un «intervento sulla dirigenza, cui verrebbe garantita una maggiore autonomia rispetto all’organo di indirizzo politico». 
Il testo indica i principi di fondo che dovranno rientrare nella delega; il merito verrà dunque articolato. In una prospettiva di «convergenza» viene sottolineato - con il mercato del lavoro privato.

I sindacati hanno indicato come «positiva» la ripresa di un sistema di relazioni sindacali, scardinato - dicono - negli ultimi anni, sperando che porti a una revisione profonda della Riforma Brunetta». Però insistono affinché si facciano ripartire anche le retribuzioni dei dipendenti pubblici e della scuola, come evidenziato dalle rispettive categorie della Cisl: «L’intesa recepisce il principio secondo cui parte dei risparmi di spesa pubblica che i lavoratori contribuiscono a generare debbano andare ai salari. Su questo ci aspettiamo concretezza e rapidità». In casa Cgil, invece, si parla di «un primo segnale di discontinuità che riapre, dopo le macerie prodotte dalla legge Brunetta, un percorso sindacale che riguarda il mondo del lavoro pubblico, riaprendo finalmente la porta ad un percorso fatto di norme legislative e di nuove contrattualizzazioni».

Inoltre:
In estrema sintesi, aggiungiamo noi:
il contratto è la fonte per definire retribuzioni e rapporti di lavoro, anche per molte parti che la riforma Brunetta riservava prima alla legge o al potere del dirigente;
  • è previsto il superamento delle fasce di merito stabilite dal d.lgs. 150/2009 e si valorizza la performance organizzativa rispetto a quella individuale, che rimane, con molti distinguo, solo per la dirigenza;
  • la mobilità è riportata alla concertazione e a percorsi di formazione e qualificazione professionale;
  • l’assunzione a tempo indeterminato e per concorso pubblico è la modalità principale e preferenziale per l’accesso al lavoro pubblico;
I giornali hanno bollato immediatamente l’intesa come una “controriforma”: leggiamo un pezzo dell’articolo di Roberto Bagnoli sul Corriere della Sera.
Nei licenziamenti economici, al contrario della riforma Brunetta, ritorna il coinvolgimento dei sindacati in «tutte le fasi» di mobilità collettiva. Smontata la «Brunetta» anche nel sistema premiale. L' ex ministro aveva introdotto tre fasce di merito alimentate da un fondo con premi individuali. Ora ci sarà un nuovo meccanismo - da studiare - ma soprattutto nella valutazione prevarrà la «performance organizzativa».

Immediata la risposta del Ministro con una lettera allo stesso quotidiano che contesta si tratti di un arretramento, ne riporto parte di due capoversi importanti, consigliandovi comunque di leggerla tutta:
La delega a cui pensiamo, pur mirata, guarda a un contesto più ampio. Per schematizzare: 1) Misure sulla dirigenza (…); 2) una riforma del sistema di reclutamento e di formazione di dirigenti e funzionari (..); 3) mercato del lavoro, nella logica dell'adeguamento alla riforma del lavoro privato, ma con due capisaldi (che certo non piacciono ai sindacati): 1) al pubblico si accede solo per concorso e non con altri meccanismi di 'flessibilita' in entrata'; 2)  anche l'abuso del contratto a termine non può portare alla stabilizzazione del lavoratore pubblico. (…)
Due notazioni finali sugli elementi a tasso “controriformista”: premialità e licenziamenti disciplinari. La controriforma di un sistema che si articola in decine di articoli potrà riguardare due o tre disposizioni della legge Brunetta (cui, sul piano tecnico, ho contribuito in prima persona): a fronte di una estromissione totale dei sindacati da ogni processo organizzativo, si potranno prevedere che alcuni temi di rilevanza “collettiva”, come nel privato, siano esaminati congiuntamente da datori di lavoro e lavoratori, fermo restando che alla fine ciascuno assumerà le decisioni che gli competono; il sistema di premialità non verrà smantellato, ma, da una parte, verrà  privilegiato l'aspetto della performance organizzativa nel senso, già detto, di misurare il buon risultato dell'unita' organizzativa e, nell'ambito di questa, valutare il dipendente e, soprattutto, il dirigente; dall'altra, si cercherà di rendere operativo, introducendo elementi di flessibilita', un principio buono (non puoi pagare tutti ugualmente) che, per la sua rigidità  (e la mancanza di fondi), da due anni non decolla.
link al testo integrale del documento

08 maggio 2012

UPI Sulle Province

RSU CISL - Bessone-Scarzello-Punzi-Fea -Rosso

Riforme Province e Spending Review: Upi chiede incontro a Giarda, Patroni Griffi e Cancellieri


Castiglione “Vogliamo contribuire a portare a termine la riforma”

“La posizione dell’Unione delle Province d’Italia in merito ad una riforma complessiva della pubblica amministrazione, che parta dalle Province e affronti l’intero nodo dell’efficientamento dei livelli di amministrazione e di governo locale, è di assoluta avanguardia. Per questo, ritenendo che l’Unione delle Province d’Italia possa offrire un contributo fattivo a che gli obiettivi di riforma che interessano le Province possano giungere al più presto a buon fine, e allo scopo di fornire tutta la collaborazione necessaria per portare a termine un processo importante, quanto complesso, siamo a chiedere di potervi incontrare quanto prima”.

E’ quanto si legge nella lettera inviata oggi dal Presidente dell’Upi Giuseppe Castiglione, al Ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, della Funzione Pubblica, Patroni Griffi, e dei Rapporti con il Parlamento, Giarda.

“La proposta che l’Upi in questi tre mesi ha presentato in tutti i tavoli istituzionali (nella Commissione paritetica per le riforme, in Conferenza unificata, in Conferenza Stato Città, nelle audizioni in Parlamento) e nei confronti con i partiti politici di maggioranza e opposizione, parte proprio dalla necessità di avviare un profondo riordino del governo di area vasta, con la riduzione del numero delle Province, anche in seguito all’istituzione delle Città metropolitane, la semplificazione delle funzioni loro assegnate, la conseguente riorganizzazione degli uffici periferici del Governo e l’eliminazione degli enti strumentali intermedi. Una proposta – sottolinea Castiglione - che trova pieno riscontro nel piano di spending review che il Governo ha presentato in questi giorni, che chiama in causa tutte le istituzioni locali e nazionali a contribuire alla diminuzione e qualificazione della spesa pubblica”.

Per questo, il Presidente Castiglione, ritenendo che l’Upi possa offrire un contributo fattivo a che gli obiettivi di riforma che interessano le Province possano giungere al più presto a buon fine, ha ritenuto urgente chiedere ai Ministri un incontro “allo scopo di fornire tutta la collaborazione necessaria per portare a termine un processo importante, quanto complesso”.

“Non si tratta – sottolinea Castiglione - di aprire un nuovo, ennesimo, tavolo di consultazione, ma di offrire fattivamente tutto il supporto possibile, in termini propositivi e di riflessione, anche grazie ai diversi studi che su questo tema l’Upi ha realizzato negli ultimi mesi con Università e centri di ricerca, alla definizione di una riforma che noi per primi, come dimostra la proposta di legge che abbiamo portato all’attenzione del dibattito, riteniamo fondamentale”.

“Le Province – dichiara il Presidente – non possono essere additate come i centri di spreco di denaro pubblico, né si può pensare che il taglio della democrazia, con la cancellazione degli amministratori eletti dal popolo, possa essere considerata una misura di riduzione della spesa pubblica.

Una riforma di questa portata va fatta insieme alle istituzioni, altrimenti rischiamo di mancare per l’ennesima volta l’obiettivo e di non dare risposte sensate ai cittadini”.

norme di interesse per enti locali


RSU CISL - Bessone-Scarzello-Punzi-Fea-Rosso

Oggetto: norme di interesse per gli enti locali del D.L. n. 16/2012.


il D.L. n. 16/2012 recante “Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento” convertito con modificazioni dalla Legge n. 44/2012 contiene, tra l’altro, alcune novità per gli enti locali che riguardano il patto di stabilità interno, le assunzioni a tempo indeterminato per gli enti locali soggetti al vincolo, le assunzioni con contratti flessibili, le modalità di calcolo delle spese di personale, i limiti di spesa e gli incarichi dirigenziali a termine.


Le nuove previsioni, di seguito sintetizzate con i relativi riferimenti normativi, sono contenute nell’articolo 4 ter del provvedimento.


• Commi da 1 a 9: introducono una flessibilizzazione del vincolo derivante dal patto di stabilità interno. Ai Comuni che prevedono di conseguire un differenziale positivo rispetto all'obiettivo del patto di stabilità interno e sono disposti a cedere parte del suddetto spazio finanziario, viene attribuito un contributo, nei limiti di un importo complessivo di 500 mln di euro, pari agli spazi finanziari ceduti da ciascuno di essi e attribuiti ai Comuni che necessitano di maggiori margini di spesa per il pagamento dei residui in conto capitale.

Tale contributo ricevuto non è calcolato fra le entrate valide ai fini del patto di stabilità interno ed è destinato alla riduzione del debito.

Inoltre ai Comuni che cedono spazi finanziari è riconosciuto, nei due anni successivi, un miglioramento del proprio obiettivo commisurato alla metà del valore degli spazi finanziari ceduti.

All’opposto i Comuni che prevedono di non rispettare gli obiettivi del patto di stabilità comunicano gli spazi finanziari di cui necessitano per sostenere il pagamento di residui passivi di parte capitale e nei due anni successivi hanno obiettivi di saldo peggiorati per un importo pari alla metà della quota acquisita.

Le comunicazioni indicate devono essere effettuate da parte dei Comuni entro il termine del 30 giugno, il Dipartimento della Ragioneria Generale Stato aggiorna il prospetto degli obiettivi dei Comuni interessati entro il 30 luglio, mentre l'ANCI fornirà il supporto tecnico per favorire l'attuazione delle nuove disposizioni.

In sostanza emerge l’introduzione di norme volte a consentire una redistribuzione degli obiettivi del patto di stabilità interno tra i Comuni dell’intero territorio nazionale attraverso la cessione di spazi finanziari da parte dei Comuni che prevedono di conseguire un differenziale positivo rispetto all'obiettivo a vantaggio di quelli che, al contrario, prevedono di conseguire un differenziale negativo, al fine di consentire a tali enti un aumento dei pagamenti in conto capitale relativi a residui passivi, nell’importo massimo complessivo pari a 500 milioni di euro (cd. patto di stabilità orizzontale nazionale).

• Commi da 10 a 16: contengono nuove disposizioni che ampliano le possibilità di assunzioni negli enti locali.

Nello specifico viene elevato dal 20 al 40% il limite per poter assumere negli enti locali che presentano un'incidenza della spesa di personale rispetto alle spese correnti inferiore al 50%.

Si consentono, inoltre, maggiori possibilità di assunzione nella polizia locale, istruzione pubblica e nel settore sociale. Ai soli fini delle assunzioni il costo delle assunzioni in questi settori viene calcolato nella misura ridotta del 50%, rimanendo invariato e valendo, quindi per intero, il calcolo di tali assunzioni ai fini delle spese di personale.

Per gli enti locali non soggetti al patto di stabilità l’anno di riferimento, o meglio l’esercizio di riferimento in base al quale calcolare le spese del personale, viene aggiornato all'anno 2008 (prima era al 2004).

Si interviene in materia di assunzioni flessibili con nuove previsioni che riguardano tutti i Comuni.

Come noto il comma 28 dell’articolo 9 del D.L. 78/2010, convertito nella legge n.122/2010, stabilisce che a decorrere dal 2011 le pubbliche amministrazioni possono avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 50% della spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2009.

Analoga previsione concerne la spesa per personale relativa a contratti di formazione-lavoro, ad altri rapporti formativi, alla somministrazione di lavoro, nonché al lavoro accessorio.

Rispetto a tali previsioni il D.L. n. 16/2012 stabilisce che a decorrere dal 2013 gli enti locali possono superare tali limiti per le assunzioni strettamente necessarie a garantire l’esercizio delle funzioni di polizia locale, di istruzione pubblica e del settore sociale; resta fermo che comunque la spesa complessiva non può essere superiore alla spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2009.

Viene inoltre riformulato il comma 6 quater dell’art. 19 del D.lgs. n. 165 del 2001 consentendo un incremento degli incarichi a contratto nella dotazione organica dirigenziale nel limite massimo generale del 10% della dotazione organica dirigenziale a tempo indeterminato, incrementabile fino al 20% per i Comuni fino a 100.000 abitanti e fino al 13% per quelli fra 100.000 e 250.000.

Infine ulteriore novità riguarda le modalità di calcolo delle spese di personale che, come noto, includono anche le spese sostenute dalle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che sono titolari di affidamento diretto di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgono funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale, ne' commerciale.
In particolare si attribuisce ad un apposito DPCM la definizione, ai fini della determinazione dell'ammontare complessivo delle spese di personale, dei criteri di calcolo delle spese di personale delle società a partecipazione pubblica locale.

In allegato si trasmette il testo integrale dell’articolo 4 ter accompagnato, ai fini di un maggiore approfondimento, dai riferimenti normativi.

Cordiali saluti.


RSU  CISL

Referendum in Sardegna sulle nuove Province istituite

RSU CISL - Bessone -Scarzello -Punzi -Fea - Rosso

Referendum sulle Province di nuova istituzione.

Il 97% dei sardi ha votato per l'abolizione delle nuove Province
Il risultato del referendum in Sardegna è l'abolizione delle quattro Province, istituite una decina di anni fa e operative dal 2005. Il 97% dei votanti si è espresso per la loro cancellazione. Un voto bulgaro. Ma ora che succede? Entro 15 giorni la Corte di Appello ufficializzerà i risultati, poi toccherà al presidente della Regione abolire, con decreto, le quattro Province. Restano aperti alcuni problemi sui passaggi di competenze, i dipendenti e gli appalti. Le Province storiche (Cagliari, Oristano, Nuoro e Sassari) rimangono: il quesito referendario, anche se hanno vinto i Sì per l'abrogazione (con il 67% dei voti), era solo consultivo. Per cancellarle servirebbe una norma costituzionale. Ed è competenza del parlamento...

I politici sardi come hanno reagito? Il presidente della provincia di Carbonia-Iglesias Salvatore Cherchi (Pd), si è dimesso dicendo di voler rispettare il voto". Quello del Medio Campidano, Fulvio Tocco (Pd), prende tempo. In Gallura prevale la rabbia, si parla di "colpo all’indipendenza del territorio" e gli amministratori per il momento non vogliono lasciare. Infuriato il senatore Pd Gian Piero Scanu (Pd): "Eliminare le nuove Province significa affossare l’economia e sfregiare l’autodeterminazione dei sardi che, come nel caso della Gallura, hanno lottato per 30 anni per costruire la Provincia". Protesta anche il deputato Settimo Nizzi (Pdl): "Dopo anni di lotte ci troviamo davanti a un risultato devastante. I cittadini alla politica chiedono risposte e non false rivoluzioni su false emergenze. Siamo nel caos giurisprudenziale. Perché le Province nuove devono essere cancellate, ma anche le vecchie...". La polemica non accenna a diminuire. Dalla Sardegna, intanto, un segnale forte e chiaro contro gli sprechi è arrivato. La politica non si muove? Ci pensiamo noi cittadini

Referendum sardegna - tempi brevi

RSU CISL - Bessone-Scarzello - Punzi- Fea -Rosso


Referendum: dopo valanga dei Sì servono tempi brevi. Dopo la valanga di Sì che ha seppellito le nuove quattro Province dell'isola - istituite dieci anni fa, ma durate in pratica solo dal 2005 al 2012 - i sardi che sono andati alle urne per i referendum anticasta ora chiedono tempi brevi alla politica, chiamata a fare quelle riforme che i cittadini si aspettano da tempo. Tutti e dieci i quesiti proposti dal Movimento referendario hanno superato il quorum (un terzo degli elettori) e sono risultati validi e l'esito del voto ha emesso le prime sentenze: via da subito le Province di Olbia-Tempio, Carbonia-Iglesias, Medio Campidano e Ogliastra, ora il Consiglio regionale dovrà decidere in fretta cosa ne sarà dei contratti in essere - che difficilmente potranno passare in toto ai Comuni o alle Unioni dei Comuni - dei dipendenti, che rischiano di vedersi spalmati tra Regione, amministrazioni locali e vecchie Province, e delle società in house, per le quali il pericolo è essere messe in liquidazione se non trasferite agli enti restanti.

Tra l'altro, proprio il riordino delle Province è attualmente in discussione in Consiglio regionale che si riunirà di nuovo domani sull'argomento. E' probabile che, alla luce dell'esito dei referendum, i capigruppo, tra oggi e domani, trovino un accordo su come procedere, visto che all'ordine del giorno c'é anche la questione della Provincia di Cagliari, rimasta senza presidente dopo che Graziano Milia (Pd) era decaduto in seguito alla condanna definitiva per abuso d'ufficio e attualmente presieduta dal vicepresidente.

Si dovrebbe andare verso una proroga dell'attività sino alla primavera del 2013, evitando il commissariamento, ma ora si aggiunge anche la Provincia di Carbonia-Iglesias, anch'essa senza un presidente dopo le dimissioni presentate ieri sera da Salvatore Cherchi (Pd), che ha lasciato l'incarico proprio a seguito dell'esito del voto referendario. Attesa anche per gli sviluppi sugli altri argomenti oggetto dei referendum, dalla riduzione degli emolumenti dei consiglieri regionali, alla soppressione dei Consigli di amministrazione di agenzie ed enti regionali, all'immediata istituzione di un'assemblea costituente per la riscrittura dello Statuto autonomistico e all'elezione diretta del presidente della Regione attraverso le primarie. Già nel 2005 un comitato di Alghero, Lu Puntulgiu, presentò una proposta di legge popolare, dopo aver raccolto oltre 17 mila firme, per la riduzione del numero dei consiglieri regionali e il taglio delle indennità (oggetto dei quesiti di questi referendum), ma la legge è sempre rimasta nel cassetto e il Consiglio regionale non l'ha mai discussa.07 maggio 2012

Sardegna: esito referendum , abolite 4 Province


Rassegna stampa a cura di Guido Marino, Franco Ferraro, Gianpaolo Viale, Cristina Lavina, Valter Giordano, Diego Reineri e Claudio Bongiovanni

link diretto all'articolo che segue tratto da: sardegnaoggi

Abolite quattro province: come cambia l'isola

L'abolizione di quattro province è una delle maggiori novità derivanti dall'esito dei referendum regionali. I sardi che si sono recati alle urne, con percentuali vicine al 97% hanno bocciato la divisione dell'isola in otto enti intermedi. Ma ora cosa accadrà? Perché si concretizzi il voto degli elettori saranno necessari alcuni passaggi istituzionali e l'abrogazione delle province di Medio-Campidano, Carbonia-Iglesias, Ogliastra, Olbia-Tempio dovrebbe avvenire tra circa venti giorni.

CAGLIARI - L'esito del voto è indiscutibile: il quorum del 33,3% è stato superato (ha votato il 35,5% degli aventi diritto) ed il "Sì" ha vinto con percentuali altissime, arrivando a sfiorare il 97% in alcuni quesiti. Come quelli riguardanti l'abrogazione delle Province di recente formazione. L'assetto provinciale della Sardegna sarà destinato a cambiare. La volontà degli elettori tuttavia per essere messa in pratica necessita di alcuni passaggi istituzionali: sarà compito del governatore, Ugo Cappellacci, varare una legge per dimezzare il numero delle Province. Dovrà farlo tramite un decreto, entro 5 giorni dalla proclamazione del risultato ufficiale da parte della Corte d'Appello, che si esprimerà entro i prossimi 15 giorni. L'abrogazione avrà effetto immediato dal giorno successivo a quello della pubblicazione sul Bollettino ufficiale della Regione (Buras). A giugno dunque si dovrebbe tornare a una Sardegna con quattro province, quelle storiche: Cagliari, Sassari, Nuoro, Oristano.
L'eliminazione delle "nuove Province" non comporterà solo la decadenza degli organi politici, ma anche di quelli amministrativi. A riguardo si pongono alcuni interrogativi. Probabilmente spetterà al Consiglio regionale decidere il destino dei contratti dei dipendenti, che potrebbero essere suddivisi tra Regione, amministrazioni locali e vecchie Province.
Ma i sardi, seppure a titolo consultivo, si sono espressi per l'abolizione delle Province storiche (il 65,98%). Cagliari, Oristano, Nuoro e Sassari rimarranno al proprio posto: per una riforma di questi enti occorre una norma costituzionale.
Ma gli elettori hanno anche eliminato la norma che disciplina l'equiparazione dell'indennità dei consiglieri regionali all'80% di quelli dei componenti del Parlamento. Dovrà essere l'Aula di via Roma a dettare le nuove norme decidendo quale sarà il nuovo 'compenso'.

02 maggio 2012

BCE: Province da accorpare e non da eliminare

Rassegna stampa a cura di Gianpaolo Viale, Cristina Lavina, Valter Giordano, Diego Reineri, Claudio Bongiovanni, Guido Marino e Franco Ferraro

Tratto dal sito leggioggi.it  - altro link, sull'argomento clicca su: la repubblica articolo

Abolirle, fonderle, sostituirle? Da ultimo, la Banca Centrale Europea ha invitato il Governo ad “accorparle”, come misura che consentirebbe un chiaro risparmio ai costi della politica

italiacucita
Sulle province continua senza sosta il balletto delle incertezze. Abolirle, fonderle, sostituirle con i comuni, con le regioni, devolvere le competenze o eliminarle?
Che intervenire sulle province sia necessario tutti lo dicono, come procedere nessun lo sa. Anzi, la confusione regna sempre più sovrana.
Da ultimo, la Banca Centrale Europea, per voce di Mario Draghi, ha invitato il Governo italiano ad “accorpare” le province, come misura che consentirebbe certamente un chiaro risparmio ai costi della politica.
Dunque, si torna ad utilizzare un verbo, “accorpare”, che non prevede l’eliminazione dell’ente (voce del verbo “sopprimere”), ma la sua conservazione, ma razionalizzandone il numero.
La Bce ha forse cambiato idea? Si direbbe proprio di no, rileggendo il passaggio della famosa lettera dell’8 agosto 2011 (scritta a tre mani da Draghi, Trichet e Tremonti) riguardante la questione: “3. Incoraggiamo inoltre il Governo a prendere immediatamente misure per garantire una revisione dell’amministrazione pubblica allo scopo di migliorare l’efficienza amministrativa e la capacità di assecondare le esigenze delle imprese. Negli organismi pubblici dovrebbe diventare sistematico l’uso di indicatori di performance (soprattutto nei sistemi sanitario, giudiziario e dell’istruzione). C’é l’esigenza di un forte impegno ad abolire o a fondere alcuni strati amministrativi intermedi (come le Province). Andrebbero rafforzate le azioni mirate a sfruttare le economie di scala nei servizi pubblici locali”.
Come si nota, checché ne possa dire chiunque, nell’estate scorsa la Bce non chiese affatto (la famosa tiritera dell’«Europa che ce lo chiede»…) sic et simpliciter di abolire le province, ma di verificare se fosse opportuno “abolire o fondere” strati intermedi dell’organizzazione istituzionale, facendo riferimento alle province solo come esempio.
E’, tuttavia, bastata questa semplice e anche logica osservazione della Bce-commissario dell’Italia, perché la campagna già da tempo in atto, ringalluzzisse gli Stella-Rizzo ed epigoni vari, per l’eliminazione pura e semplice delle province. Da qui, la cieca e sorda ottemperanza del Governo-Monti alle presunte indicazioni dell’«Europa che ce lo chiede» che ha prodotto il paradossale disegno contenuto nell’articolo 23 del d.l. 201/2011, convertito in legge 214/2011 (il cosiddetto decreto pomposamente denominato “Salva Italia”, con le province, proviamo a pensarci, chiamate a salvare il Paese…).
Detto articolo ha previsto un garbuglio inestricabile, dal quale emerge:
a)      le province non si aboliscono, né si accorpano, ma restano;
b)      tuttavia, le si priva delle loro funzioni, salvo imprecisate e imprecisabili funzioni di indirizzo e coordinamento dei comuni del territorio;
c)      le altre funzioni delle province (che né Stato né regioni sanno quali siano…) dovrebbero essere attribuite ai comuni o alle regioni, con leggi statali e/o regionali;
d)      le province divengono enti “di secondo grado”, i cui organi di governo, presidente, consiglio e giunta, sono una derivazione dei comuni del territorio, in quanto l’elettorato attivo spetta a sindaci e consiglieri comunali, secondo quanto ha stabilito un recente disegno di legge attuativo della previsione.
Dopo l’entusiasmo per la grande “ideona” contenuta nel decreto, però, qualche si è iniziato a guardare davvero dentro alla riforma e a fare delle considerazioni meno populiste e da inchiesta scandalistica.
Si è scoperto, ad esempio, che manca totalmente una norma di carattere tributario e finanziaria che regoli il passaggio delle competenze dalle province a comuni o regioni. L’attività ordinaria delle province è, infatti, finanziata in parte da trasferimenti statali e regionali, in altra parte – preponderante – da entrate tributarie e patrimoniali proprie. Qualunque ente si dovesse sostituire alle province nello svolgere le loro funzioni (che non potrebbero essere abolite) dovrebbe acquisire le connesse risorse per poterle svolgere. Ma, questo determinerebbe effetti devastanti sulle regole del patto di stabilità e sui tetti alle spese di personale per gli enti riceventi.
Mentre manca ancora totalmente un semplice barlume di norma che possa porre rimedio a questa carenza, nonché alla circostanza che regioni o comuni dovrebbero anche accollarsi il rilevantissimo carico finanziario degli obiettivi che le province assicurano al patto di stabilità, ci si è anche accorti che le funzioni di indirizzo e coordinamento non significano nulla, non servono a nulla e che occorre allora conservare alle province funzioni di area vasta.
A causa di ciò, le leggi regionali e statali che dovrebbero trasferire le funzioni provinciali a comuni o regioni sono per ora cadute nel dimenticatoio. Mentre, invece, è tornata in auge l’iniziativa normativa pomposamente denominata “Carta delle autonomie”, più empiricamente qualificabile come riforma del testo unico sull’ordinamento delle autonomie locali (d.lgs 267/2000), nell’ambito della quale si intende riattribuire alle province funzioni tipiche di “area vasta” come programmazione urbanistica, tutela dell’ambiente, manutenzione delle strade e sistema dei trasporti, ma contestualmente si eliminano due funzioni fondamentali che non possono non appartenere al livello provinciale, come l’edilizia scolastica e la rete dell’istruzione superiore, nonché il sistema delle politiche attive per il lavoro, per altro fortemente innovato dal contestuale disegno di legge-Fornero.
Un caos biblico, che per ora, a ben vedere, somiglia ancora al topolino partorito dalla Montagna.
A Francoforte probabilmente se ne sono resi conto. E la Bce, adesso, raddrizza il tiro e precisa meglio. Indicando che non è il caso di avventurarsi nella soppressione delle province, la quale per altro richiederebbe una riforma costituzionale per la quale non vi sono nemmeno i tempi tecnici (per non parlare degli immani costi amministrativi per trasferimento di immobili, utenze, titolarità di contratti e personale). Dunque, una più saggia indicazione volta all’accorpamento. Operazione estremamente più indolore e semplice rispetto ad una soppressione sic et simpliciter, in quanto molto più semplice da gestire sul piano finanziario e tributario: infatti, sarebbe possibile in modo trasparente garantire il rispetto degli obiettivi del patto di stabilità, non vi sarebbero problemi anche contrattuali nel trasferimento del personale, si ridurrebbero significativamente le “poltrone” politiche, non si determinerebbe la necessità di modificare radicalmente l’assetto della finanza locale e delle norme tributarie. E sarebbe anche possibile lasciare alle province tutte le funzioni tipiche di area vasta, le quali altro non sono se non quelle indicate dall’articolo 21 della legge 42/2009, cioè la legge delega sul federalismo fiscale, quella dei fabbisogni standard, tra l’altro già rilevati proprio in riferimento ai servizi per il lavoro e ai servizi riguardanti l’istruzione superiore. Sarebbe assurdo sprecare questo lavoro già svolto, che consentirebbe nelle province, per prime, di introdurre indicatori di produttività e standard di costi.
Lecito chiedersi se la nuova indicazione della Bce non sia stata impostata nuovamente a più mani, col Governo italiano, come strategia d’uscita dal vicolo cieco nel quale il Governo stesso, trascinato dalle invocazioni di Stella-Rizzo ed epigoni, si era cacciato con la in felicissima disposizione contenuta nell’articolo 23 del “Salva Italia”. Adesso, infatti, il Governo potrebbe dire che l’Europa non chiede di abolire le province, ma semplicemente di accorparle.
Si tornerebbe, così, mestamente, al disegno normativo già proposto con l’articolo 15 del d.l 138/2011 (la seconda manovra finanziaria estiva), poi quasi totalmente soppresso dalla legge 148/2011 di conversione, del 14 settembre.
Sette mesi buttati al vento, per tornare all’unica ipotesi oggettivamente plausibile, quella della riduzione delle province, ma non della loro soppressione, visto che il livello intermedio tra comuni e regioni non si presta ad essere eliminato. In Europa solo Cipro, Lichtenstein, Città del Vaticano e San Marino non hanno il livello provinciale. E lo stesso deleterio articolo 23 del “Salva Italia” prevede, come rimedio all’eliminazione delle funzioni amministrative in capo alle province che “I Comuni possono istituire unioni o organi di raccordo per l’esercizio di specifici compiti o funzioni amministrativi garantendo l’invarianza della spesa”. Insomma, il frettoloso decreto di fine anno ha puntato disordinatamente sulla sostanziale soppressione (anche se non di diritto) delle province, per sperare che nuove forme associative comunali ne prendessero il posto, senza considerare gli egoismi tipici dei campanili e, soprattutto, senza ricordarsi della più che fallimentare esperienza delle unioni dei comuni, utili non per rafforzare e razionalizzare i servizi, ma per creare enti ancora più deboli e inefficienti.
La Bce, adesso, precisa che le province occorre accorparle e non eliminarle. Ma nessuno intende prendere in seria considerazione la necessità di partire a razionalizzare l’organizzazione pubblica in primo luogo eliminando proprio tutti gli enti intermedi tra comuni e province come unioni, consorzi, comunità montane (a proposito, ma anche queste non dovevano essere soppresse), nonché la quantità enorme di enti ed entucoli regionali, i consorzi di bonifica, i consorzi imbriferi, i magistrati delle acque e altre simili parcellizzazioni dell’azione amministrativa, che si presterebbero con estrema facilità ad essere ricondotti proprio al livello di governo provinciale.
Vedremo se occorrerà attendere l’ennesima lettera o segnale di fumo dell’«Europa che ce lo chiede» o se saremo capaci noi, finalmente, di ragionare davvero con le nostre teste, pensando a ciò che è utile e possibile.