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30 marzo 2012

Province, la parola alla Regioni

29/03/2012 tratto dal sito La Gazzetta degli Enti Locali link all'articolo

Pubblicato da Valter Giordano e Claudio Bongiovanni
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Province, la parola alle regioni

Saranno le regioni a decidere se istituire o sopprimere le province, sentiti i comuni interessati. Lo prevede il d.d.l. sulla riforma presentato dal relatore Bruno in Commissione alla Camera
Saranno le regioni a decidere se istituire o sopprimere le province, mentre resta il tetto dei 400mila abitanti e del territorio inferiore a 30mila 500 chilometri quadrati.
È la previsione di riforma dell’articolo 133 che il relatore del disegno di legge sulla riforma delle province in Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati, Donato Bruno, ha proposto l’altra sera ai commissari.

Il testo si compone di due articoli. Nel primo c’è la modifica della Carta costituzionale che, attualmente prevede che sia una legge dello Stato sentiti i comuni e la stessa regione interessata, a provvedere. Si prevede che l’istituzione e la soppressione delle province all’interno di una regione e il mutamento delle loro circoscrizioni siano stabiliti da “legge regionale sentiti i comuni interessati” senza onere per lo Stato. Non possono essere istituite Province con popolazione inferiore a 400mila abitanti e con territorio inferiore a 3.500 chilometri quadri. I consigli provinciali sarebbero eletti dai componenti dei consigli dei comuni sul territorio in cui insistono “secondo criteri stabiliti dalla legge dello Stato”.
Anche le città metropolitane sono istituite con legge regionale “in territori con popolazioni superiore a un milione di abitanti, coincidenti con uno o più comuni e individuati con legge dello Stato”. Esse esercitano le funzioni della Provincia e la legge dello Stato stabilisce quali siano le funzioni dei comuni esercitate dalle città metropolitane.
La Regione, sentite le popolazioni interessate può, con sue leggi, istituire nuovi comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni. Ciascuna regione riordina con propria legge le circoscrizioni delle province interessate secondo le previsioni entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge costituzionale. Dopo, se la regione non ha provveduto è lo Stato a provvedere al riordino o alla soppressione con propria legge.

In base alla riforma proposta, le province rimangono enti costitutivi della Repubblica, , se ne riduce in maniera sensibile, si demanda sempre a legge regionale la creazione di città metropolitane in quei territori che sono stati stabiliti con legge dello Stato.
Le città metropolitane potranno assorbire le funzioni delle Province e parzialmente o in toto le funzioni dei comuni. “Buone notizie dalla Commissione affari costituzionali che ha presentato il ddl sulla riforma delle province: non solo si prevede il riordino degli enti intermedi tra comune e regione, ma accelera l`istituzione della città metropolitane. Un obiettivo questo a cui il Pd lavora da tempo per razionalizzare e rilanciare le competenze di grandi aree che devono confrontarsi con aree metropolitane europee (Berlino, Londra, Parigi)”, sottolinea Davide Zoggia, responsabile enti locali del Partito Democratico.
“Si tratta insomma di dare finalmente vita ad un ente che si mette al servizio di nuove esigenze di cittadinanza. Abbiamo sempre detto che la posta in gioco è alta: è necessario conciliare la necessità di ridisegnare la fisionomia della «macchina Italia», rendendola più efficiente e meno costosa e al tempo stesso di garantire ai cittadini - soprattutto in tempi di antipolitica - rappresentanza e vicinanza alle istituzioni”, ha spiegato Zoggia.

29 marzo 2012

Articolo 18 o riforma sulle pensioni dov’è la fregatura?
Il nuovo articolo 18
Con il nuovo art. 18, anche senza l'assenza delle ragioni economiche addotte dal datore di lavoro per licenziare, al massimo si otterrà un indennizzo da 15 a 27 mensilità. Un salto notevole, che ha messo in agitazione tanti lavoratori, considerando che la riforma si applica a tutti: vecchi e nuovi assunti.Fino ad oggi il licenziamento individuale per motivi economici era già nella disponibilità di un imprenditore, solo che nelle aziende con più di 15 dipendenti l'assenza delle ragioni davanti a un giudice, produceva il reintegro del lavoratore e il risarcimento del danno subito.
Le cause di licenziamentoIl licenziamento detto per motivi economici, secondo la legge che lo regola (la 604/1966) è sostenuto da ragioni che attengono all'attività produttiva. Cosa significa? Che costituiscono giustificato motivo di licenziamento individuale la crisi dell'impresa, la cessazione dell'attività e, anche solo, il venir meno delle mansioni cui era in precedenza assegnato il lavoratore, se non è possibile il suo «ripescaggio», in altre mansioni esistenti in azienda e compatibili con il livello di inquadramento.La valutazione del giudiceFinora la normativa prevedeva che il lavoratore licenziato individualmente per motivi economici potesse andare davanti al giudice ed in queste cause la percentuale di sconfitta del lavoratore è la più alta di tutti i procedimenti in tema di licenziamento. Se i motivi economici non ci sono, l'attuale normativa prevede il reintegro del lavoratore, il risarcimento del danno e la corresponsione dei contributi mancati.Il nuovo articolo 18, esclude il reintegro e offre solo la possibilità dell'indennizzo nel caso in cui il lavoratore abbia ragione davanti al giudice.Se avrà torto, perderà il posto di lavoro e andrà in disoccupazione. E, se avrà ragione, otterrà un indennizzo tra le 15 e le 27 mensilità dell'ultima retribuzione globale, modulata dal giudice in base alla dimensione dell'impresa, all'anzianità di servizio e alle iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di una nuova occupazione. Ma cosa farà un lavoratore per il quale è stato chiesto il licenziamento per motivi economici che invece ritiene di essere stato discriminato? La risposta dovrebbe essere chiara. Se il giudice, nel valutare la motivazione addotta dal datore di lavoro per licenziare individualmente, riscontrerà elementi di discriminazione, reintegrerà il lavoratore senza «se» e senza «ma». Se invece i motivi sono di tipo economico, applicherà la normativa descritta fin qui, con o senza la procedura conciliativa, a seconda del testo finale.Quindi val la pena, riepilogare anche la disciplina sui licenziamenti discriminatori che nella riforma non muta di una virgola rispetto all'attuale. L'onere della prova spetta al lavoratore. Per motivi disciplinari la riforma ha introdotto alcune novità che val la pena di ricordare. In caso di licenziamento senza giusta causa (comportamento grave che non consente la prosecuzione del rapporto, come ad esempio i furti o le risse) o senza giustificato motivo soggettivo (notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore, insomma il caso dei «fannulloni»), il giudice deciderà tra il reintegro e l'indennizzo.
Il reintegro sarà possibile soltanto se il motivo è inesistente perché il fatto non è stato commesso o se il motivo non è riconducibile al novero delle ipotesi punibili ai sensi del contratto nazionale collettivo di riferimento. In tutti gli altri casi di inesistenza del motivo, addotti dal datore di lavoro, l'indennizzo potrà variare tra le 15 e le 27 mensilità lorde, ma comprensive di tredicesima e quattordicesima, tenendo conto dell'anzianità aziendale del lavoratore e del comportamento tenuto dalle parti.
Per quanto riguarda le pensioni sono sorti problemi che riguardano le cifre astronomiche richieste dall'Inps per la ricongiunzione dei contributi versati presso altri enti di previdenza, ad esempio, da lavoratori che hanno subito un processo di esternalizzazione da parte degli enti locali, presso cui hanno continuato regolarmente a lavorare ed ad essere retribuiti. C'è poi il caso dei «contributi silenti» che vengono incamerati dall'Inps per compensare il deficit
Roma, 25 mar. (IGN KRONOS) - ''In linea teorica i pubblici non sono esclusi'' dalla riforma del lavoro, ''il Testo unico del 2001 estende a quasi tutto l'impiego pubblico anche l'applicazione dell'articolo 18, salvo i casi di eccedenza di organico superiori ai dieci dipendenti, per le quali è prevista una procedura speciale di mobilita'''. Lo dice in un'intervista a 'La Stampa' il senatore del Pd e giuslavorista Pietro Ichino. ''L'ostacolo' - spiega- è che se il giudice condanna l'amministrazione a pagare al lavoratore licenziato un risarcimento, il dirigente che ha adottato il provvedimento puo' essere ritenuto responsabile verso l'erario per il danno'' e nessun dirigente pubblico è disponibile a ''correre questo rischio''.
Ecco perché, aggiunge, "occorrerebbe una norma specifica che esentasse il dirigente, in questo caso, dalla responsabilità erariale''. Ichino non quindi, non vede tanto "una necessità di cambiare le norme vigenti, salvo che per qualche aspetto particolare" come quella del danno erariale. Piuttosto, ammonisce, serve ''cominciare ad applicare'' le norme che già esistono. ''Quando una norma non viene mai applicata – aggiunge -, è in qualche misura inevitabile che si perda il ricordo di che cosa essa dice esattamente''.

IN SOSTANZA, SECONDO ME POCO E’ CAMBIATO RISPETTO ALLA SITUAZIONE ATTUALE, INFATTI L’ESITO DELLE SENTENZE EMANATE IN CASO DI LICENZIAMENTO PER MOTIVI ECONOMICI E’ QUASI SEMPRE A FAVORE DELLE AZIENDE, SE NON QUANDO, SONO COMPROVATI ATTI DISCRIMINATORI, MENTRE, SE ESISTONO PROVVEDIMENTI DISCIPLINARI E’ UN’ALTRA STORIA.
PER PARTITO PRESO NON SI PUO’ PROTESTARE SU QUESRTO ARGOMENTO, ANCORA PRIMA DELLA DISCUSSIONE IN PARLAMENTO DOVE CON EMENDAMENTI ALCUNE MODIFICHE SONO AUSPICABILI. (SAREBBE NECESSARIO RIBELLARSI SOLO SE IL GOVERNO USASSE L’ARMA DEL DECRETO LEGGE NELLA COMPLETEZZA DELL’APPLICAZIONE DEL PROVVEDIMENTO).
MOLTO PIU’ GRAVE E’ LA SITUAZIONE DELLE PENSIONI NEL CAMPO DELLA RICONGIUNZIONE DEI CONTRIBUTI VERSATI CHE HA ASSUNTO UN ASPETTO INCREDILE PER I COSTI ESORBITANTI RICHIESTI DALL’INPS AI LAVORATORI CHE NE FANNO RICHIESTA ED UN ASPETTO GROTTESCO CIRCA LA CIFRA DI PENSIONE CHE VERRA’ PERCEPITA NON POTENDO SOSTENERE IL PAGAMENTO RICHIESTO.
NON HO PAROLE PER QUANTO RIGUARDA GLI "ESODATI".

28 marzo 2012

Ricorsi delle Regioni alla Consunta contro l'art. 23 del Decreto "Salva italia"

A cura di Claudio Bongiovanni, Valter Giordano, Cristina Lavina, Guido Marino, Franco Ferraro, Diego Reineri

Pensiamo possa essere utile ed interessante inserire nel blog i ricorsi presentati da varie regioni (per ora quantificabili in numero totale di 5) alla Consulta, contro l’art. 23 del Decreto ‘Salva Italia’.

Dossier - Ricorsi regionali sull'abolizione delle Province (art. 23, d.l. n. 201/2011):
(clicca sul singolo ricorso per prenderne visione)

Ricorso della Regione Piemonte

Ricorso della Regione Lombardia

Ricorso della Regione Campania

Ricorso della Regione Lazio

Ricorso della Regione Veneto

26 marzo 2012

Rassegna stampa - articolo tratto dall'Eco del chisone

A cura di Guido Marino e Claudio Bongiovanni

Rassegna stampa tratta dall'edizione del 21 marzo 2012 dell'Eco del Chisone

21 marzo 2012

Arrivano le nomine per i commissari (Prov. La Spezia)

A cura di Claudio Bongiovanni, Cristina Lavina, Valter Giordano

COMUNICATO STAMPA
Provincia di La Spezia.

Province: il Presidente Fiasella sarà nominato Commissario alla scadenza del mandato.
Approvato in Senato Ordine del Giorno sulla nomina a commissari degli attuali presidenti di Provincia

Il Senato ha approvato ieri (15/03/2012) l'Ordine del Giorno con il quale si stabilisce la nomina a Commissari dei Presidenti di Provincia in scadenza in primavera, inattesa che il Governo vari la nuova norma per le elezioni dei consigli provinciali.
"Dentro questo percorso travagliato - dice il Presidente della Provincia della Spezia Marino Fiasella, in questi giorni a Roma per l'Assemblea dell'UPI - che ha messo in discussione la sopravvivenza delle Province, c'èora la soddisfazione per il fatto che la nostra Provincia potrà avere una continuità nell'azione amministrativa fino alla definizione della nuova legge elettorale.
E' una notizia importante per un territorio come il nostro che,dopo l'alluvione del 25 ottobre, ha a maggior ragione bisogno di risposte politiche certe. Avrei preferito la proroga della attuale Amministrazione, eletta dai cittadini, ma sono contento di continuare questa esperienza alla guida di un Ente strategico come la Provincia la cui esistenza ad oggi non è più messa in discussione.
Si è inoltre confermata la volontà di costituire un tavolo tecnico per il riconoscimento delle funzioni fondamentali.
Il dibattito non è più Province si o Province no poiché si è compreso che la prima riforma del Governo Monti era un vero e proprio pasticcio.
Di fatto oggi non si parla più di abolizione anche se rimane in piedi il percorso sul cambiamento della legge elettorale e rispetto a questo ribadisco la miacontrarietà a rendere le Province enti di nominati.
E' giusto lasciare alleProvince le loro competenze ma sbagliato ostinarsi a voler togliere aicittadini la possibilità di scegliere i propri rappresentanti attraverso ilvoto. Il Governo si è impegnato a varare la nuova norma entro la finedell'anno ma la competenza è del Parlamento. La Provincia della Spezia saràdunque commissariata dalla fine di maggio ma almeno continuerà ad esistere edad avere un bilancio da poter spendere, con scelte politiche, al servizio del territorio.
L'UPI dal canto suo continuerà a chiedere al Governo e alParlamento di approvare una riforma organica delle istituzioni di governo diarea vasta, attraverso una legge delega che segua le linee di indirizzoindicate nella proposta elaborata dai Presidenti di Provincia.
Il nostro Paeseha bisogno di una riforma seria ed organica dei livelli istituzionali. Oggialmeno si intravede la disponibilità nel non sacrificare solo leProvince."

Il sole 24 ore: Province il riordino dimentica 850 partecipate

Rassegna stampa - A cura di Cristina Lavina, Claudio Bongiovanni e Valter Giordano

Pubblichiamo articolo tratto dal Sole 24 ore: link diretto all'articolo : Province, il riordino dimentica una giungla di 850 partecipate.

Gianni Trovati
Il dibattito sull'abolizione delle Province è infinito, il decreto salva-Italia che cancella le Giunte e trasforma i Consigli in organismi ultraleggeri di secondo livello e il successivo Ddl governativo per regolare i nuovi enti sembrano il punto di svolta, ma su tutto il processo pesa un "non detto" che rischia di affossarlo. Si tratta della foresta di società partecipate fiorite intorno alle Province e che oggi, solo nelle partecipazioni di "primo livello", conta 852 società in cui lavorano 56.719 persone. Un mondo, secondo i dati elaborati per Il Sole 24 Ore da Bureau Van Dijk con la banca dati AidaPa, che accumula oggi un "fatturato" di 15,4 miliardi all'anno, con beni all'attivo per oltre 56 miliardi di euro, senza tener conto delle Province autonome di Trento e Bolzano. Certo, sono dati che riguardano le società in sé, in cui accanto alle Province fanno pesare le loro quote anche altri soggetti. Ma la "dimenticanza", vale a dire la mancata definizione di una regola chiara (e al sicuro da probabili contenziosi) per il passaggio di consegne, rischia comunque di ipotecare qualsiasi tentativo di riordino degli enti di area vasta.
Eppure fra vari stop and go e con spinte di segno contrario all'interno della stessa maggioranza dell'allora Governo Berlusconi (favorevole il Pdl, ma più che mai ostile la Lega), il dibattito sull'abolizione delle Province va avanti da inizio legislatura. Ma evidentemente la lunga decantazione non è bastata. L'articolo 23 della manovra di Natale del Governo Monti prevede infatti che le Province abbiano solo un ruolo di «indirizzo e coordinamento» e che le Regioni assegnino ai Comuni le funzioni fino a oggi svolte dalle amministrazioni provinciali. La trasformazione in enti di secondo livello è chiara ed è stata ancora meglio stabilita dal Ddl sulle nuove modalità di elezione dei consiglieri provinciali e dei presidenti delle Province, che ha avuto il via libera preliminare del consiglio dei ministri il 24 febbraio. Nulla di scritto invece sulla sorte delle partecipazioni in mano alle Province.
La questione è complicatissima perché riguarda società con partecipazioni anche rilevanti in termini di valori e di strategie amministrative, e si fa sentire soprattutto nelle aree metropolitane a più alta intensità economica. Uno degli snodi più importanti è naturalmente a Milano, dove la Provincia del presidente Guido Podestà (Pdl) poggia su un groviglio di partecipazioni dove si incontra un capitale sociale da 666,8 milioni di euro su cui si sono accese tutte le battaglie politiche cruciali degli ultimi anni intorno a Palazzo Isimbardi. Il cuore del portafoglio è Asam – il cui 80,8% è della Provincia di Milano e il resto appartiene invece alla sua ex "costola" di Monza e Brianza – che ha in pancia, solo per fare due nomi, il 52,9% di Serravalle (utile netto di 23,7 milioni nell'esercizio 2010) e il 14,56% di Sea (63,1 milioni di risultato netto).

18 marzo 2012

Conferenza Unificata: rinviato il parere sul “nuovo” sistema elettorale delle Province

A cura di Claudio Bongiovanni, Valter Giordano e Cristina Lavina.

Rassegna stampa: adnkronos

Conferenza Unificata: rinviato il parere sul “nuovo” sistema elettorale delle Province.

Roma, 15 mar. - (Adnkronos) - Slitta il parere della Conferenza Unificata sulla legge sul nuovo sistema elettorale delle Province. Infatti nel corso della riunione, che si sta svolgendo al ministero degli Affari regionali, e' stato deciso di rinviare la discussione del disegno di legge sulle modalita' di elezione dei consigli provinciali e del presidente della Provincia.

Il parere e' stato rinviato su richiesta delle stesse autonomie locali che, a quanto si apprende, hanno fatto notare che il tema dovrebbe piuttosto essere trattato nell'ambito della Commissione paritetica sulle riforme istituzionali.

14 marzo 2012

Il Sole 24 ore - trasferimento dei personale e risorse

Pubblicato da Claudio Bongiovanni, Valter Giordano, Franco Ferraro e Cristina Lavina.

Clicca sull'articolo per facilitare la lettura

08 marzo 2012

Province: il Governo ci ripensa? La confusione impera

A cura di Valter Giordano, Claudio Bongiovanni, Franco Ferraro, Cristina Lavina

7 marzo 2012

Rassegna stampa, articolo tratto da www.leggioggi.it

Province: il Governo ci ripensa? La confusione impera

Redatto da da in Amministrativo

Tre mesi dopo la manovra “salva-Italia” il Governo pare accorgersi che il livello di governo intermedio è necessario ed è comune alla maggior parte dei paesi europei

L’intervista sul futuro delle province rilasciata a Il Messaggero lo scorso 5 marzo dal Ministro della Funzione Pubblica (vedi post che segue) lascia, a dire poco, sconcertati.

Da una parte, le dichiarazioni di Patroni Griffi lasciano trasparire che il Governo si sia reso conto di aver sbagliato radicalmente le scelte compiute con l’articolo 23, commi 14-20, del d.l. 201/2011, convertito in legge 214/2011. Ciò traspare chiaramente dalle parole del Ministro: “…tra Comuni e Regioni è ragionevole un livello intermedio per funzioni di area vasta…” e “Asciughiamo i costi, snelliamo la classe politica locale e rivitalizziamo l’amministrazione italiana ridefinendola su tre livelli, Comuni-Province-Regioni com’è nella maggior parte dei paesi europei”.

Dopo aver letto queste affermazioni, viene spontaneo strizzare gli occhi e rileggerle. E non si può fare a meno di chiedersi, se esse, come si deve ritenere, risultino rispecchiare la volontà del Governo, per quale ragione sia stata prevista la sostanziale abolizione delle province, col citato articolo 23 della legge 214/2011.

Il Ministro, in sostanza, con la sua intervista smentisce radicalmente l’intera strategia mossa fin qui dal Governo sulle province, che si reggeva sull’asserzione dell’inutilità di un ente intermedio tra comuni e regioni.

Esattamente all’opposto, tre mesi dopo la manovra “salva-Italia” il Governo pare accorgersi che, invece, il livello di governo intermedio è necessario ed è comune alla maggior parte dei paesi europei. In effetti, in Europa, solo Cipro, Città del Vaticano, San Marino, Lussemburgo e Liechtenstein non hanno province; perfino a Malta questo livello di governo è presente.

Indirettamente, l’intervista del titolare del dicastero di Palazzo Vidoni conferma l’impressione che si è sempre avuta: la normativa riguardante le province riversata nella manovra “salva-Italia”è stata soltanto il frutto frettoloso e avventato della campagna mediatica che ha preso di mira questi enti, sulla base dell’idea, inesatta, che dalla loro eliminazione deriverebbero 12 miliardi di euro di risparmi l’anno. E’ opportuno ricordare che la relazione tecnica allegata al decreto ha stimato i risparmi in eventuali 65 milioni (lo 0,54% di quello che la propaganda fa credere si possa risparmiare), nemmeno computati nei saldi finanziari derivanti dalla manovra.

L’eliminazione delle province si rivela per quello che è: solo una mossa per ottenere un po’ di captatio benevolentiae dai cittadini, mentre contestualmente si aumentava la benzina, si reintroduceva l’Ici sotto forma di Imu, si allungava l’età lavorativa, si tagliavano le pensioni minime. Un contentino alla stampa e all’uomo della strada o avventore di osteria, messo nel decreto senza alcuna preventiva analisi sull’opportunità, sugli effetti concreti, sulle immense difficoltà operative derivanti (nessuno ha fin qui seriamente pensato alle necessarie modifiche all’ordinamento dei tributi e delle entrate locali e a chi si dovrebbe accollare i saldi del patto di stabilità a carico delle province). E’, francamente, paradossale che il Governo scopra solo ora che un livello di governo intermedio tra comuni e regioni sia necessario e che questa modalità organizzativa della pubblica amministrazione è ben presente in Europa e lo è, in particolare, nei Paesi competitor dell’Italia ai quali ci si vuole sempre paragonare ed ispirare: Germania su tutte, Francia, Gran Bretagna e Spagna comprese.

L’atto di indiretta resipiscenza del Governo, tuttavia, è solo parziale. E la confusione sul futuro delle province appare, a questo punto, totale e irrimediabile.

Una sola cosa appare chiara: il Governo-Monti si è esposto e quindi in ogni caso le province dovranno assolvere al ruolo di agnello sacrificale, si riveli concretamente utile o meno la norma che le intende riformare.

Sul “come” riformarle, il buio cala nerissimo, stando all’intervista di Patroni Griffi. Da essa si trae molto chiara l’impressione che delle statuizioni – tutte incostituzionali – dell’articolo 23 della legge 214/2011 resterà poco.

Leggiamo altre dichiarazioni del Ministro: “Parte delle funzioni delle Province saranno affidate ai Comuni. Le Regioni, invece, non avranno nulla. Ma tra Comuni e Regioni è ragionevole un livello intermedio per funzioni di area vasta: la manutenzione delle strade, la tutela ambientale, la pianificazione del territorio. Ora queste funzioni saranno affidate a Province più grandi governate da un presidente, eletto solo tra i consiglieri comunali, che avrà un profilo tutt’altro che anonimo”.

Quanto dichiarato non corrisponde per niente ai contenuti della legge. Il Ministro, sostanzialmente, afferma:

a) ai comuni andranno assegnate parte delle funzioni delle province, mentre alle regioni non spetterà nulla. Il comma 18 dell’articolo 23 della legge 214/2011 stabilisce tutta un’altra cosa: “lo Stato e le Regioni, con propria legge, secondo le rispettive competenze, provvedono a trasferire ai Comuni, entro il 31 dicembre 2012, le funzioni conferite dalla normativa vigente alle Province, salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, le stesse siano acquisite dalle Regioni, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”. Non è per nulla conforme a quanto prevede la legge affermare che alle regioni non andrà nulla, appare corretto ritenere esattamente l’opposto;

b) alle province resteranno funzioni proprie del livello intermedio tra comuni e regioni, esemplificativamente la manutenzione delle strade, la tutela ambientale, la pianificazione del territorio. Anche in questo caso, le affermazioni del Ministro sono in rotta di collisione con l’articolo 23. Infatti, il comma 14 dispone: “Spettano alla Provincia esclusivamente le funzioni di indirizzo e di coordinamento delle attività dei Comuni nelle materie e nei limiti indicati con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”. L’effetto dell’articolo 23 è privare le province di ogni funzione che non siano i fumosi indirizzo e coordinamento. Che le province possano svolgere funzioni “di area vasta” è effetto di un’elucubrazione o di un preannuncio di riforma delle norme vigenti del Ministro. Il quale sembra preannunciare ulteriori riforme quando dice che le funzioni “di area vasta” saranno assegnate alle province più grandi. Questo era il contenuto della manovra finanziaria estiva 2011, varata ancora dal Governo Berlusconi. Le affermazioni di Patroni Griffi o sono un’errata corrige, che dovrebbe essere corroborato da una legge, o sono un vaticinio, o sono un auspicio. Ma attualmente il testo della riforma che anch’egli ha votato dispone tutt’altro.

Riassumendo, il Ministro della Funzione Pubblica, nell’intervista commenta la riforma “varata” dal Governo, ma in realtà ne prefigura una nuova e diversa che preveda:

a) la conservazione delle province, come ente di area vasta, intermedio tra comuni e regioni;

b) il dimezzamento del numero delle province;

c) la conservazione in capo alle province delle funzioni tipiche del livello provinciale;

d) l’assegnazione ai comuni di tutte le altre funzioni;

e) l’assenza di trasferimenti di funzioni alle regioni.

Il sostanziale ripensamento delle disposizioni dell’articolo 23 della legge 214/2011 leggibile in filigrana dalle dichiarazioni di Patroni Griffi apre, adesso, altri scenari estremamente complessi.

Da un lato, il Ministro e, per esso probabilmente l’intera compagine governativa, insiste nell’errore di fondo di ritenere che le funzioni provinciali possano, per lo più, essere attribuite ai comuni. Quelle elencate dall’inquilino di Palazzo Vidono, tuttavia, non qualificano pienamente le funzioni tipicamente provinciali che, in quanto tali, mal si attagliano ad una gestione comunale. Basti pensare che nell’elenco manca l’edilizia scolastica. Immaginare che la costruzione di una nuova scuola o l’investimento su scuole già esistenti possa essere demandato a un sindaco solo è semplicemente impensabile. Le scuole superiori, delle quali si occupano le province, hanno come utenti non i residenti del comune presso il quale sorgono, ma tutti i cittadini della provincia (e, nelle scuole ai confini del territorio, anche fuori provincia). E’ impensabile che i sindaci possano ragionare in termini di servizi più vasti del territorio che li elegge. E’ assurdo immaginare che l’offerta formativa, il coordinamento dei trasporti a servizio delle scuole, gli investimenti sulle scuole possano essere governati in modo polverizzato dai singoli comuni.

Altrettanto vale per tutti i servizi che l’articolo 21, comma 4, della legge 42/2009 individua come “fondamentali” delle province:

a) funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall’ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della legge 42/2009;

b) funzioni di istruzione pubblica, ivi compresa l’edilizia scolastica;

c) funzioni nel campo dei trasporti;

d) funzioni riguardanti la gestione del territorio;

e) funzioni nel campo della tutela ambientale;

f) funzioni nel campo dello sviluppo economico relative ai servizi del mercato del lavoro.

Nessuno di questi servizi per sua natura pare attribuibile in modo efficiente dai comuni, proprio in applicazione dei principi di sussidiarietà e adeguatezza, richiamati abbastanza a sproposito dal Ministro.

Il quale, come del resto lo stesso articolo 23 della legge 214/2011, incorre in un errore piuttosto grave rispetto alle prerogative delle regioni. Infatti, tra i tanti vizi di costituzionalità che caratterizzano la vigente normativa in tema di riforma delle province uno è particolarmente grave, anche se poco evidenziato, sin qui, e cioè la violazione palese e fortissima alle previsioni dell’articolo 118, comma 2, della Costituzione: “I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”.

Finchè le province non siano del tutto eliminate dalla Costituzione (ma, nell’intervista il Ministro Patroni Griffi lascia comprendere che la riforma costituzionale ne disporrà la diminuzione di numero, non la soppressione) le regioni potranno sempre eccome dire la propria in merito alle funzioni provinciali.

Non si deve dimenticare che a seguito del d.lgs 112/1998, moltissime funzioni sono state assegnate alle province dalle regioni e con leggi regionali: si pensi a funzioni in materia di commercio, agricoltura, formazione professionale, turismo. La legge statale, a meno di rivedere totalmente l’impianto delle riforme Bassanini, non può espropriare la potestà normativa delle regioni. Solo le regioni potranno stabilire come rivedere l’assegnazione delle funzioni attribuite a suo tempo alle province e scegliere se polverizzarle tra i comuni o riassorbirle anche per, magari, riassegnarle nuovamente alle province, proprio in attuazione dell’articolo 118, comma 2, della Costituzione. Vigente il quale, le regioni conservano sempre il potere di decidere a quale livello di governo assegnare l’esercizio di determinate funzioni amministrative, visto che le province comunque non saranno del tutto soppresse. Non è secondario sottolineare che proprio una delle funzioni più qualificanti delle province, quelle in tema di politiche attive del lavoro, sono state ad esse attribuite con leggi regionali.

Le dichiarazioni di Patroni Griffi, dunque, attestano che il Governo sta ripensando – opportunamente – le sue scelte iniziali, troppo precipitose e “populistiche”, ma che la confusione regna sovrana. Soprattutto, perché, lo si ribadisce, nessuno ha fin qui preso in mano l’unico ragionamento davvero necessario: il rapporto costi/benefici.

Sopprimere le province avrebbe un costo immenso: in termini della necessità, accennata sopra, di modificare radicalmente il sistema della finanza locale ed il patto di stabilità, nonché in termini di patrimonio. Occorrerebbero anni per reintestare l’immenso patrimonio edilizio delle province. Basti pensare che la parte più importante di esso sono le scuole, ma che non tutte quelle in carico alla gestione provinciale sono di loro proprietà. Per effetto di un’altra legge di “riforma a metà”, la 23/1996, infatti, alcune scuole sono rimaste di proprietà dei comuni e l’intreccio degli assetti proprietari risulterebbe inestricabile per un ente che dovesse subentrare.

Poi, vi sarebbe il problema della traslazione delle centinaia di migliaia di convenzioni, contratti, appalti, servizi, forniture e, naturalmente, dei dipendenti.

L’intervista di Patroni Griffi è la controprova che il Governo ha agito, fin qui, senza aver realmente chiaro cosa fare, come farlo e quando farlo. Per un verso, le dichiarazioni del Ministro della Funzione Pubblica rivelano che il Governo non è dell’idea di dare attuazione a prescindere da tutto alle disposizioni dell’articolo 23 della legge 214/2001 e che è disponibile a rivederne i contenuti. Questo è un bene. L’importante è che il ripensamento adesso permetta di affrontare il problema della riforma delle province in modo ponderato e senza preconcetti.

Niente impedisce al legislatore di provare il riordino dell’organizzazione delle istituzioni, in modo da razionalizzarne funzioni e costi, anzi questo è un bene. Non sono processi, tuttavia, che possono realizzarsi per decreto legge e prescindendo dalla Costituzione, come invece si è fatto con la manovra “salva Italia”.

05 marzo 2012

Province quale futuro- intervista al Mnistro Patroni Griffi

Pubblicato da Cristina Lavina, Valter Giordano, Maurizio Barra, Claudio Bongiovanni, Nicola Garassino, Rosanna Giordano e Franco Ferraro.

Rassegna stampa - Il Messaggero

L'INTERVISTA/Patroni Griffi: «Elimineremo gli enti inutili.
Maxistipendi?

Tra i burocrati poca trasparenza» di Diodato Pirone

Articolo pubblicato lunedì 5 marzo 2012

- omissis

(parte che interessa le Province)

Torniamo al fronte dei poteri locali...
«Sulle Province stiamo varando una riforma profonda».
Davvero sfoltirete i 4 mila consiglieri provinciali e le decine di Agenzie doppioni di assessorati?
«In Parlamento si sta discutendo della legge costituzionale che dovrebbe dimezzare le attuali Province accorpandole. Contemporaneamente abbiamo approvato un disegno di legge che conferma la scelta di non far votare più il popolo per le elezioni provinciali. Presidente e consiglieri provinciali futuri, al massimo 16, saranno eletti solo tra i consiglieri comunali e quindi non avranno diritto ad altri compensi. E’ presto per fare cifre, ma alla fine salteranno migliaia di poltrone e daremo un assetto più razionale a quella parte di amministrazione italiana più legata al territorio».
Non era meglio eliminare le Province e chiuderla lì?
«Parte delle funzioni delle Province saranno affidate ai Comuni. Le Regioni, invece, non avranno nulla. Ma tra Comuni e Regioni è ragionevole un livello intermedio per funzioni di area vasta: la manutenzione delle strade, la tutela ambientale, la pianificazione del territorio. Ora queste funzioni saranno affidate a Province più grandi governate da un presidente, eletto solo tra i consiglieri comunali, che avrà un profilo tutt’altro che anonimo».
E’ un compromesso o una buona soluzione operativa?
«Asciughiamo i costi, snelliamo la classe politica locale e rivitalizziamo l’amministrazione italiana ridefinendola su tre livelli, Comuni-Province-Regioni com’è nella maggior parte dei paesi europei».
Ministro, lei conosce bene il vizio degli assessorati provinciali di dare vita ad Agenzie o Enti che sono il loro esatto duplicato con l’unico obiettivo di moltiplicare poltrone e stipendi.
«Stiamo pensando di vietare la costituzione di Agenzie ed Enti. E’ più difficile vietare la costituzione di società ma dovremo trovare la formula per bloccare queste degenerazioni».
Mantenere il presidente della Provincia equivale ad un’auto blu in circolazione.
«Comunque le auto blu sono dominuite del 13% e scenderanno ancora. Ma i tagli veri sono altri».
E cioè?
«Se davvero riusciremo a dimezzare le Province è chiaro che dovremo ripensare l’organizzazione periferica dello Stato».
A cosa si riferisce? Prefetture, questure, direzioni provinciali dell’Inps e delle Agenzie fiscali.
«Esatto. Per tradizione lo Stato italiano è strutturato su base provinciale».
Questo vuol dire che unificando due province dovrebbero unificarsi anche gli uffici ministeriali locali e i loro dirigenti?
«Non ci sono automatismi ma sarebbe ragionevole rifletterci. Comunque assieme al ministro dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, stiamo ragionando su una diversa organizzazione degli uffici periferici. Sono troppi e male organizzati. Si potrebbe pensare, ad esempio, ad un’unica struttura provinciale che coordini gli acquisti in loco delle amministrazioni oppure razionalizzi gli affitti».
Si torna alla filosofia dell’Ufficio unico sul territorio che prese piede negli anni Novanta e che poi si è persa per strada?
«Torniamo su quella strada».
Quanto è duro disboscare la burocrazia?
«L’Italia è un Paese complesso. Per ottenere risultati decenti occorre agire in modo coordinato su tanti fronti: leggi costituzionali, disegni di legge, decreti, confronto con i sindacati sulla contrattazione e tanto altro. Però una cosa posso dirla: se si affronta questa giungla col macete non si va da nessuna parte. Serve pragmatismo. Tanto, tanto pragmatismo».

02 marzo 2012

UPI e Sindacati: una proposta per la riorganizzazione dell’architettura istituzionale

A cura di Valter Giordano, Claudio Bongiovanni, Maurizio Barra, Nicola Garassino, Franco Ferraro.

2 marzo 2011

Le norme del Decreto Salva Italia che svuotano le Province e le trasformano in ente di secondo livello si muovono in un quadro fitto di interventi legislativi scoordinati dimostrando l’assenza di una visione unitaria di fondo rispetto all’obiettivo, condivisibile, di razionalizzare e semplificare un sistema istituzionale ridondante e incompiuto.

Occorre una inversione di rotta rispetto alla linea tracciata dal decreto Salva Italia che propone soluzioni frettolose alle esigenze di riduzione della spesa pubblica e di taglio ai costi della politica.
E’ quanto scrivono in un documento congiunto l’Unione delle Province d’Italia e le organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil funzione pubblica.


Il documento sottolinea la necessità di una riforma unitaria e sistematica che non riguardi solo le Province “ma tutti i livelli di governo, nazionale, regionale e locale: occorre che ogni istituzione faccia i conti con la riduzione degli sprechi e dei costi impropri – si legge nel testo - ma occorre anche ridefinire chiaramente le competenze di ogni livello di governo ed eliminare le sovrapposizioni di enti e strutture non democratiche che esercitano impropriamente le funzioni che la Costituzione assegna alle autonomie territoriali. Tutto ciò salvaguardando e rilanciando il valore di prossimità territoriale delle autonomie rispetto alle domande espresse dalle comunità locali”.
I Sindacati confederali della Funzione pubblica e l’Upi ribadiscono poi la necessità di avviare una riforma che, “attraverso una razionale divisione delle competenze e delle responsabilità tra istituzioni territoriali, permetterebbe di non perdere il patrimonio professionale di quanti, sino ad oggi, sono stati quotidianamente al servizio dei cittadini. L’ipotesi di una indiscriminata messa in mobilità di lavoratori pubblici va contrastata – si ribadisce nel documento unitario – attraverso una gestione condivisa del processo di riforma che consenta di riorganizzare il sistema valorizzando il capitale umano” .
Cgil, Cisl e Uil Funzione Pubblica e Upi, sottolineando che “le Province sono istituzioni della Repubblica garantite dalla Costituzione: non si possono abolire o svuotare con decreto legge” rilanciano una proposta che permetta la chiara definizione delle funzioni di area vasta; la valorizzazione delle funzioni e delle competenze di regolazione delle istituzioni pubbliche; la revisione delle circoscrizioni provinciali per dare alle Province una dimensione territoriale, demografica ed economica adeguata; l’istituzione delle Città metropolitane; il riordino dell’amministrazione periferica dello Stato e degli enti strumentali, agenzie, società partecipate e consorzi non strettamente collegati alle funzioni istituzionali.


Una proposta che, si legge nel documento unitario, centrerebbe gli obiettivi di semplificazione e snellimento della macchina amministrativa; riqualificazione della spesa pubblica a vantaggio dei cittadini, contribuenti e fruitori dei servizi pubblici; valorizzazione professionale dei lavoratori.
“È nell’ottica di una attuazione partecipata degli ampi processi di riorganizzazione dell’architettura istituzionale – scrivono i rappresentanti dei sindacati e l’Associazione delle Province - che abbiamo costruito insieme un’idea forte e condivisa di riforma che vogliamo condividere con gli altri livelli istituzionali a partire dai Comuni e dalle Regioni: per dare al Paese istituzioni più moderne, veloci, vicine ai cittadini”.

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