Cerca nel blog

Visite

Archivio blog - posta a rsu@provincia.cuneo.it

28 giugno 2012

Province, in arrivo la riforma scure su enti e società regionali



Componenti Cisl: Bessone-Scarzello-Punzi-Fea-Rosso


Province, in arrivo la riforma scure su enti e società regionali

Di Redazione il Denaro – giovedì 28 giugno 2012

Una forte riduzione delle Province, che punta a riconoscere a questi enti funzioni fondamentali su territorio, ambiente e viabilità a cui potrebbero aggiungersi altre funzioni eventualmente delegate dalle Regioni. L’esecutivo è intenzionato a varare la prossima settimana un decreto legge sulla riforma degli assetti delle Province. L’ipotesi prevalente sarebbe, dunque, quella di superare il modello previsto dall’articolo 23 del Salva Italia, su cui si erano registrati non pochi malumori nelle autonomie, preferendo invece la formula già individuata dalla Carta delle autonomie. A ciò si aggiungerebbe anche una forte riduzione delle società delle regioni e degli enti strumentali.

Addio province nelle grandi città: arrivano i sindaci metropolitani

Componenti CISL: Bessone-Scarzello-Punzi-Fea-Rosso

Da “Il Messaggero”


Addio province nelle grandi città: arrivano i sindaci metropolitani

ROMA - Dal primo giugno 2013 cesseranno di esistere dieci Province italiane, che saranno sostituite da altrettante città metropolitane; già nelle prossimesettimane invece dovrebbe essere definito il piano di accorpamento che porterà alla scomparsa di un’altra quarantina degli attuali enti. La spending review spinge il governo ad accelerare i tempi di un riassetto di cui si parla almeno dalla scorsa estate, ma che finora era rimasto inattuato: le nuove norme fanno parte di un provvedimento ad hoc destinato ad essere esaminato in tempi rapidi dal Consiglio dei ministri, anche se forse non nella riunione della prossima settimana.

Il passaggio al momento più concreto è forse proprio quello che farà diventare i primi cittadini di dieci grandi città (Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria) anche «sindaci metropolitani» delle relative aree territoriali. Ma questo non sarà necessariamente l’esito finale perché, dopo il primo mandato, toccherà alle stesse città metropolitane stabilire nel proprio Statuto se far coincidere le due figure oppure se prevedere l’elezione del sindaco metropolitano, con le modalità fissate per il presidente della Provincia.

In ogni caso il nuovo sindaco potrà eleggere un vice ed attribuire deleghe a singoli consiglieri. Questi, scelti tra i sindaci dei Comuni del territorio, saranno sedici nelle città metropolitane con popolazione superiore a 3 milioni di abitanti, dodici in quelle con un numero di abitanti compreso tra 800 mila e tre milioni, dieci nelle altre. Le nuove entità erediteranno le competenze delle Province ed inoltre si occuperanno di pianificazione territoriale e delle reti infrastrutturali, di gestione e organizzazione dei servizi pubblici, mobilità e viabilità, coordinamento dello sviluppo economico.

Per svolgere queste attività potranno contare sulle risorse umane e strumentali delle attuali Province e di quelle finanziarie così come riviste nell’ambito del federalismo fiscale. Il territorio delle città metropolitane coinciderà con quello delle vecchie Province; per i Comuni resta però la possibilità prevista dalla Costituzione di proporre modifiche.

Le altre Province sono destinate ad essere accorpate in base ad un’ipotesi di riordino che il governo dovrebbe presentare entro venti giorni dall’entrata in vigore del provvedimento. Nel testo si parla di criteri di dimensione territoriale, numero di abitanti, numero di Comuni ma non sono indicate cifre. Le Regioni a statuto speciale e le Province autonome di Trento e Trieste avranno sei mesi per adeguarsi.

La bozza di provvedimento contiene altri tre capitoli importanti: l’obbligo per i Comuni al di sotto dei 5.000 abitanti di esercitare in forma associata le proprie funzioni fondamentali, la soppressione (o comunque l’accorpamento) dei numerosi enti ed agenzie che oggi svolgono funzioni affidate ad enti locali con conseguente moltiplicazione di poltrone, e la riorganizzazione dell’amministrazione periferica dello Stato con la concentrazione delle funzioni nelle prefetture che avranno il ruolo di uffici territoriali dello Stato. Da quest’ultimo riassetto dovranno derivare risparmi del 10 per cento rispetto alla spesa attuale.



Dichiarazione del presidente della Provincia di Benevento Aniello Cimitile in merito alla soppressione delle piccole Province

Componenti CISL: Bessone-Scarzello-Punzi-Fea-Rosso

Dichiarazione del presidente della Provincia di Benevento Aniello Cimitile in merito alla soppressione delle piccole Province:


«Prendo atto con soddisfazione che il presidente Castiglione dell’Unione delle Province d’Italia, nel corso della sua Relazione all’Assemblea Nazionale del sodalizio, ha ripreso la problematica delle Province di antica costituzione nell’ambito dei progetti di riforma delle Autonomie Locali annunciati dal Governo.

A questo punto, occorre agire con velocità e fermezza perché in sede parlamentare siano proposti emendamenti e correttivi alla probabile formulazione di accorpamento delle piccole Province nel disegno di legge dell’Esecutivo.

Credo che quanto detto pubblicamente dal sen. Pasquale Viespoli e dall’on.le Mario Pepe dimostri la possibilità di un’azione corale e convergente in grado di proporre l’introduzione, tra i criteri della revisione dell’assetto delle Province, quello concernente la salvaguardia almeno degli Enti nati nel XIX secolo per le ragioni che ho già più volte rappresentato anche ai vertici dell’UPI.

Sarebbe addirittura possibile portare gli eventuali criteri di selezione delle Province da accorpare da tre a quattro, richiedendo che due su quattro di tali requisiti siano soddisfatti.

Questa nuova formulazione dei criteri permetterebbe alla Provincia di Benevento, istituita nel 1860, di difendere la propria autonomia territoriale, salvaguardando una esperienza di vita amministrativa a tutela dell’identità storica e culturale locale e finalizzata allo sviluppo delle aree deboli del Mezzogiorno.

Rivolgo, pertanto, un nuovo e pressante appello a tutte la rappresentanza del Sannio in Parlamento affinché vigilino sull’iter legislativo che si andrà ad intraprendere nei prossimi giorni, nella serena consapevolezza che questa difesa della Provincia non è una battaglia per la difesa di rendite di posizione parassitarie di potere, quanto piuttosto per la tutela di un passato, di un presente e, soprattutto, di un futuro di un territorio e della sua gente».

"Scontro" tra Regione Veneto e Province

RSU CGIL a cura di Claudio Bongiovanni, Guido Marino, Valter Giordano, Franco Ferraro.
VENETO: LA REGIONE "TOGLIE" COMPETENZE ALLE PROVINCE

Regione Veneto ha fatto troppo presto i conti con l’abolizione delle Province? 

A considerare la natura di alcuni suoi provvedimenti, tutti volti a togliere competenze agli enti intermedi, si direbbe di sì. Di fronte a questa «svolta», però, le amministrazioni provinciali hanno manifestato la loro contrarietà. 
Definito da alcune Province Venete il comportamento della Regione «censurabile e in palese violazione del principio di leale collaborazione tra istituzioni»

A scatenare le ire dei presidenti provinciali del Veneto sono stati, in particolare, quattro provvedimenti: quello con cui la Regione ha sottratto alle Province i tirocini estivi di orientamento (delibera dello scorso 6 giugno); quello con cui, sempre la Regione, ha proposto di trasferire ai Comuni le funzioni provinciali in materia di cave (ddl del 22 maggio); quindi quello con cui le Province sono state escluse da ogni competenza in materia di gestione del servizio idrico integrato (legge regionale 17/2012) e, infine, quello con cui la Regione ha scelto di procedere senza il coinvolgimento degli enti intermedi sul documento preliminare del cosiddetto «Piano di gestione dei rifiuti» (deliberazione di giunta del 2 maggio). 
I provvedimenti della Regione sono destinati ad avere ripercussioni pesanti. «In tema di cave - viene spiegato -, il disegno toglie l’attività ispettiva di controllo; quindi c’è la questione dei rifiuti, per cui la gestione passerà ai singoli Comuni, diventando di fatto ingestibile. Senza dimenticare le tematiche che riguardano il lavoro e la formazione professionale».
A fronte di tutto ciò una domanda posta da un Presidente di Provincia:  "Qualcuno per esempio mi deve dire dove metterò quelle persone che ora lavorano negli uffici che si vogliono trasferire».

UPI: assemblea generale No a veti dalle Regioni sulle Province

RSU CGIL a cura di Claudio Bongiovanni, Guido Marino, Valter Giordano, Franco Ferraro.

Tratto dal sito dell'U.P.I.: 27/06/2012

Province: Castiglione “Appello al Governo e ai partiti. Non ci possono essere veti dalle regioni sulle Province"

  Saitta “Non accettiamo ostruzionismo su nostro progetto: perché non presentano proposta per loro
“Sulla riforma delle Province sono ore decisive: facciamo appello al Governo Monti, perché prosegua nella strada avviata del confronto con l’Upi, e presenti una proposta organica, completa, che consenta non solo di ridurre le Province, ma di semplificare l’amministrazione territoriale, istituendo le Città metropolitane, assegnando funzioni certe di area vasta alle Province, tagliando gli enti e le agenzie strumentali delle Regioni, e razionalizzando la presenza dello stato nei territori. Non possiamo accettare che su questo tema ci siano veti da parte delle Regioni”. Lo ha detto il Presidente dell’Upi, Giuseppe Castiglione, concludendo i lavori dell’Assemblea Nazionale delle Province a Roma. “Noi abbiamo fatto una scelta di serietà, prendendoci carico per quello che ci riguardava, di contribuire a riformare le autonomie locali. Abbiamo presentato una proposta seria, che, con estremo coraggio, è stata accolta da tutti, anche dalle Province che verranno accorpate. Non le Regioni non hanno accettato la sfida dell’autoriforma, ma anzi, proprio dalle Regioni arrivano in queste ore pressioni per fermare la proposta dell’Upi, che invece con il Governo ha iniziato un percorso decisivo. Facciamo appello al Governo Monti, e anche ai partiti politici che hanno sostenuto la nostra proposta, a non interrompere questo percorso ora, a portare a termine una riforma così importante, a bloccare le tentazioni di chi vuole l’affermarsi di un neocentralismo regionale. Altrimenti, se si sceglierà di procedere per strappi, presentando la solita riforma inattuabile, non potremo fare altro che promuovere nuovamente ricorso alla Corte Costituzionale contro i provvedimenti che saranno presentati”.
 “In queste ore sta emergendo con chiarezza quali sono i soggetti che vogliono impedire il progetto di riforma dell’amministrazione locale del Paese. Sono le Regioni che, senza avere mai aperto un confronto franco con l’Upi, stanno in queste ore intervenendo sul Governo per bloccare la nostra proposta di autoriforma”. Lo dichiara il Vice Presidente dell’Upi, Antonio Saitta, rilevando come “oggi abbiamo appreso dal Ministro Cancellieri che le Regioni hanno chiesto incontri al Governo per parlare della riforma delle Province. Sarebbe stato corretto che avessero invece aperto un confronto per un progetto di autoriforma delle Regioni stesse, anziché tentare di bloccare il nostro percorso di semplificazione istituzionale, che, ci rendiamo perfettamente conto,  mette profondamente in discussione anche i 3.279 enti strumentali che le Regioni hanno in questi anni costituito e che evidentemente non hanno alcuna intenzione di chiudere. I poteri regionali sui territori. Quello che ci appare chiaro è che le Regioni sono interessate a svuotare le Province, per costituire ancora nuovi enti e agenzie”.

(27-06-2012)
Barbara Perluigi

27 giugno 2012

"Riforma province evitando doppioni"

componenti CISL: Bessone-Scarzello-Punzi-Fea-Rosso

da Italia Oggi

"Riforma province evitando doppioni"

Un modello alternativo di riforma delle province che eviti le duplicazioni di funzioni. È quello che ha lanciato ieri il ministro della funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi, chiudendo a Roma la prima giornata dell'assemblea nazionale dell'Upi, l'Unione delle province italiane. Non un taglio netto, come prevedeva l'articolo 23 del primo decreto Monti, il cosiddetto Salva-Italia, ma una revisione di sistema, che coinvolga le autonomie locali e le ramificazioni periferiche dell'amministrazione centrale. Il progetto sarà uno dei pilastri del decreto legge sulla spending review, che è atteso al consiglio dei ministri di lunedì sera, preceduto da vertice a Palazzo Chigi con sindacati e poi regioni, comuni e province. «Con il ministro Giarda e Cancellieri stiamo elaborando un secondo modello di sistema che riguarderà sia l'amministrazione periferica che le autonomie», ha detto Patroni Griffi. L'obiettivo è di evitare, in una riforma organica, duplicazioni di funzioni tra province, città metropolitane, amministrazione periferica, comuni, unioni di comuni, enti e agenzie sparse sul territorio. E anche di non andare a uno scontro frontale con le stesse autonomie, «di cui abbiamo registrato le contrarietà», dirà Patroni Griffi. L'annuncio è stato accolto con favore dai presidenti delle province italiane presenti a Roma, che da tempo rivendicano un approccio non solo ragionieristico sul dossier dei risparmi sugli enti locali. «Il modello illustrato dal ministro è positivo, vedremo al tavolo di lunedì prossimo i dettagli, che sono altrettanto importanti: i criteri di accorpamento e le funzioni», commenta il presidente dell'Upi, Giuseppe Castiglione, che con un paragone calcistico liquida la partita governo-province con un pareggio: «Abbiamo incassato il goal dell'articolo 23, oggi abbiamo segnato noi». Il numero di -42 sembra quello «che più si avvicina alla realtà», ha detto il ministro commentando le ipotesi di taglio alle province. E ha poi indicato i tempi: «La riforma complessiva va fatta entro la legislatura», va avviata in blocco, ragiona il ministro, anche se poi sarà realizzata in tempi diversi. L'Upi ha ribadito che le province italiane sono quelle con minor incidenza sulla spesa pubblica: l'1,7% contro il 5,4% della Francia e il 4,2% della Germania. Il dossier presentato evidenzia che, per funzioni e costi, le province nostrane sarebbero in linea con quelle degli altri paesi europei e addirittura costerebbero meno. E poi Castiglione punta il dito contro gli sprechi delle regioni: «Non vorremmo ritrovarci con grandi province dotate di funzioni essenziali e regioni che mantengono ancora in vita oltre 4 mila enti strumentali, per non parlare di regioni che hanno meno abitanti di alcune province». E indica in consorzi e società partecipate il grasso da tagliare. La controriforma dell'Upi: città metropolitane, ridurre le province, lasciando al territorio il compito di decidere gli accorpamenti, eliminare enti e agenzie di stato, regioni e degli enti locali, «consentirebbe di risparmiare in un anno 5 miliardi di euro, contro i 60 milioni dell'iniziale progetto del governo di taglio alle province».

25 giugno 2012

Il Governo punta a tagliare 42 province

RSU CGIL a cura di Claudio Bongiovanni, Guido Marino, Valter Giordano, Franco Ferraro.
Rassegna stampa
Tratto dal sole 24ore  - 25/06/2012 

Il colpo di spugna potrebbe arrivare per decreto, anche se il condizionale - mai come in questo caso - è d'obbligo. Quaratadue province delle 86 delle regioni a statuto ordinario verrebbero soppresse per la mancanza di due dei tre criteri fissati dai tecnici del Governo, vale a dire una popolazione residente superiore ai 350mila abitanti, un'estensione territoriale di almeno 3mila chilometri quadrati e un numero di almeno 50 amministrazioni comunali sul territorio.
Dal taglio, che solo il pre-consiglio di oggi confermerà se inserito nel decreto sulla spending review o in un altro provvedimento, resterebbero escluse le province capoluogo e quelle delle regioni a statuto speciale. Le scelta delle due caratteristiche su tre per garantire il salvataggio alle amministrazioni provinciali che, a quel punto, si troverebbero ad esercitare le loro funzioni anche sull'area delle vicine cancellate, sembra rappresentare l'ultima mediazione proposta, all'interno dell'Esecutivo, tra chi come il ministro per la Pa e la Semplificazione, Filippo Patroni Griffi, opta per una soluzione normativa selettiva di riordino generale e chi, invece, vorrebbe l'attuazione integrale (comunque da fare con una legge) dell'articolo 23 del decreto legge salva-Italia, che porterebbe alla trasformazione di tutte le province in enti di secondo livello rispetto ai comuni del loro territorio, peraltro prive di funzioni core.
L'opzione Patroni Griffi si integra con un intervento attuativo della norma del 2010 (inapplicata) sulle unioni comunali sollecitato dall'Anci, con il varo delle dieci città metropolitane (Torino, Milano, Genova, Venezia, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari e Reggio Calabria) accompagnato dalla contestuale soppressione delle province interessate e con il ridisegno delle amministrazioni periferiche dello Stato (prefetture, questure, eccetera). Questa proposta avrebbe il vantaggio di offrire una soluzione preventiva agli effetti dell'articolo 23 del primo decreto Monti, sulla cui costituzionalità la Corte è stata chiamata a pronunciarsi.
Il suo limite è più che altro politico. Oltre ai dubbi sull'inserimento di una materia ordinamentale così delicata in un decreto legge, bisogna, infatti, fare i conti con le opposizioni scontate che la riforma incontrerebbe in Parlamento, dove tutti i partiti (tranne Idv e Udc) hanno presentato disegni di legge assai più soft. Senza dimenticare la "freddezza" più volte manifestata dal ministro dell'Interno, Anna Maria Cancellieri, sull'idea di razionalizzare tutti gli uffici periferici dello Stato.
Lo schema di articolato che verrà esaminato oggi in pre-consiglio, se confermato nella sua interezza, avrebbe più di un punto di contatto con la proposta di autoriforma avanzata dall'Upi nel febbraio scorso. E capace, a detta dei suoi proponenti, di generare risparmi per 5 miliardi. Così suddivisi: 500 milioni dall'introduzione delle città metropolitane e dalla riduzione delle province da 107 a 60; altri 500 milioni dal miglioramento dell'efficienza delle amministrazioni provinciali; 2,5 miliardi dal riordino degli uffici periferici statali; 1,5 miliardi dall'abolizione di enti e agenzie strumentali.
Pre-consiglio a parte, un'idea più precisa sullo stato dell'arte e sulla presenza di eventuali divergenze all'interno dell'Esecutivo si potrà avere domani durante il primo dei due giorni dell'assemblea convocata dall'Upi a Roma. E che vedrà gli interventi dei due ministri più interessati alla "contesa" sulle province: Patroni Griffi e Cancellieri.

21 giugno 2012

Province, il governo fa sul serio: "Taglio dopo le vacanze estive" Il primo assaggio entro giugno col decreto sulla spending review

 RSU CGIL a cura di Claudio Bongiovanni, Guido Marino, Valter Giordano, Franco Ferraro e Diego Reineri


Un primo anticipo con il decreto sulla spending review di giugno. E, in autunno, il taglio vero e proprio. Sta prendendo questa forma il piano di riorganizzazione delle Province e degli uffici statali su base provinciale allo studio del governo. Un piano che, stavolta, appare più concreto rispetto a quello a cui la nostra storia ci ha abituato, perché l’esecutivo lo sta approntando insieme all’Unione delle Province, impegnata in prima linea in questa revisione del nostro sistema di enti locali.
La questione è stata affrontata in un primo incontro due giorni fa, al quale seguiranno altri appuntamenti già nei prossimi giorni. «Non c’è ancora nulla di fissato, ma i contatti sono continui», fanno sapere dall’Upi. E, in questo senso, grosse novità potrebbero arrivare già con l’assemblea nazionale delle Province italiane, prevista per il prossimo 26 giugno a Roma, alla presenza del ministro della Funzione pubblica Filippo Patroni Griffi e della titolare dell’Interno Annamaria Cancellieri.

Il progetto del governo parte dall’idea, anzitutto, di favorire la nascita delle città metropolitane, previste da anni e mai attuate. In queste aree, Comuni con competenze più pesanti e allargate si sostituirebbero di fatto alle amministrazione provinciali. Quelle sul piatto sono in tutto dieci: Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari e Reggio Calabria. Insieme rappresentano l’11% della superficie nazionale, il 31,5% della popolazione e addirittura il 34% del prodotto interno lordo. Questo taglio potrebbe arrivare già per fine mese. A questa prima sforbiciata si dovrebbe accompagnare il taglio delle Province sotto i 300mila o 350mila abitanti (le Province diventerebbero enti di secondo livello, come le comunità montane, e non sarebbero elette a suffragio universale). Con l’ipotesi più soft, quella del taglio sotto i 300mila abitanti, sarebbero a rischio una quarantina di amministrazioni. Tra queste Pistoia, Piacenza, Savona, Siena, Prato, Rovigo, Trieste, Grosseto, Lodi, La Spezia, Imperia, Asti, Belluno, Massa Carrara, Sondrio e Vercelli. Salendo a 350mila rischierebbero, invece, oltre cinquanta province: tra queste anche Arezzo, Livorno, Lecco e Rimini.
In pratica, mettendo l’asticella a questo livello si otterrebbe un dimezzamento del livello attuale. Questi primi due interventi, secondo le cifre dell’Upi, valgono da soli circa un miliardo. Un’altra fetta importante di risparmi, direttamente collegata a questa, potrebbe arrivare dalla riorganizzazione di tutti gli uffici periferici dello Stato basati sul livello provinciale: questure, sovrintendenze, prefetture. Da quest’altra voce, secondo i calcoli, potrebbero arrivare altri 2,5 miliardi di euro. E un altro miliardo e mezzo potrebbe essere generato dall’abolizione di altri enti e agenzie a livello provinciale. In totale, insomma, si potrebbe arrivare a cinque miliardi. Tutto da definire l’iter di riorganizzazione delle Province estinte: saranno accorpate a quelle più vicine superstiti? Quali precise competenze resteranno e quali passeranno alle regioni?

20 giugno 2012

Province atto finale

RSU CGIL a cura di Claudio Bongiovanni, Guido Marino, Valter Giordano, Franco Ferraro e Diego Reineri

Province, atto finale

E’ incredibile che priorità e modalità di intervento siano dettati dalle inchieste giornalistiche, che hanno preso di mira le province come esempio di tagli da effettuare per risanare le casse, nonostante i conti lo smentiscano drasticamente


fucilazione_Goya
L’atto finale del taglio delle province, forse, si avvicina. L’esame più approfondito, tramite l’abbozzo di spending review che tecnici e tecnici al quadrato stanno in qualche modo raffazzonando, fa capire che risulta opportuno agire su due fronti.
Il primo è la soppressione delle province con popolazione inferiore ai 300.000 abitanti. Siamo a giugno del 2012. La stessa, identica, proposta era stata inserita solo 10 mesi fa, nel ferragosto 2011, nella seconda manovra estiva, per poi essere cassata in sede di conversione del d.l. 138/2011.
Sono passati invano 10 mesi per riproporre nuovamente la stessa idea. Segno che, come ha detto qualche Ministro, effettivamente la cosiddetta “ideona” non c’è, anche per evidente assoluta mancanza di visione e di fantasia da parte non solo dei ministri, ma anche degli apparati, evidentemente capaci di produrre solo un certo tipo di manovre, come in un disco rotto. Ne è esempio la recente uscita sull’eliminazione di una settimana di ferie, per rilanciare il Pil di un punto. Amenità simile fu inserita sempre nella seconda manovra estiva del 2011, a proposito di eliminazione delle giornate festive non religiose (alla quale, comunque, non si è dato seguito almeno nel 2012).
Sembra davvero incredibile che priorità e modalità di intervento siano dettati dalle semplicistiche inchieste giornalistiche, le quali da tempo hanno preso di mira le province come esempio di un taglio da effettuare per risanare i conti pubblici, nonostante i fatti ed i conti smentiscano drasticamente tale indicazione.
I risparmi dalla totale eliminazione delle province non supererebbero, limitandosi ai costi della politica, i 130 milioni di euro, come ha rilevato l’ufficio studi della Camera a proposito della sciagurata previsione contenuta nell’articolo 23 del d.l. 201/2011, convertito nella legge 214/2011, il cosiddetto “decreto salva Italia”, che a ben vedere ha salvato piuttosto poco.
Per aversi un risparmio reale, non vi sarebbe che una strada: oltre ad eliminare il “chi”, cioè le province, non resta che eliminare anche il “che cosa”, cioè ciò che le province fanno.
Il populismo da bar o le semplificazioni da inchiesta che dà di gomito ai cittadini esasperati, portano ad affermare che le province “non servono a niente”, non fanno nulla e così via.
Veniamo, allora, al secondo fronte. Se da un lato pare che comunque un consistente numero di province resterà per effetto dell’eliminazione di quelle più piccole (si stima una settantina di province ancora in piedi), dall’altro lo sciagurato articolo 23 della legge 214/2011 prevede che con leggi statali o regionali, a seconda delle competenze, le funzioni delle province siano attribuite ai comuni o alle regioni, laddove non sia possibile assegnarle ai primi. Dunque, il Legislatore stesso fa una scoperta molto originale, evidentemente sfuggita agli astanti del precitato bar ed agli occhiutissimi giornalisti di inchiesta-antisprechi: le province esercitano delle funzioni! Se così non fosse, non potrebbero essere traslate verso altri enti.
Il problema è che quelle funzioni vanno indagate e conosciute. Ma questo sforzo, evidentemente, appare improbo. Le inchieste giornalistiche nemmeno si sognano di cercare di capire cosa concretamente facciano le province, e si può anche comprendere. Meno giustificabile è che esattamente quali siano le funzioni delle province non lo sappiano nemmeno lo Stato e le regioni, sebbene per effetto del d.lgs 112/1998 e delle conseguenti leggi regionali attuative essi abbiano assegnato molteplici funzioni amministrative, in adempimento al disegno di decentramento amministrativo impostato dalla legge Bassanini-1 (59/1997), in aggiunta alle altre funzioni storiche.
La Regione Veneto, per cercare di vederci chiaro, ha chiesto alle province di elencare, dunque, quali funzioni svolgano le province stesse. In allegato si può vedere la prima sommaria ricognizione di una delle province interessate, per accorgersi che le competenze provinciali, attribuite sia da Stato sia da regione, sono estremamente vaste. Ma, soprattutto, quasi tutte con la sola eccezione di alcuni servizi sociali, difficilmente attribuibili ai comuni, pena uno “spezzatino” ingestibile ed inefficiente di attività che per loro stessa natura richiedono un’area territoriale superiore a quella comunale, ma inferiore a quella regionale.
Il solo esempio delle funzioni in tema di lavoro è illuminante. L’offerta di lavoro o di formazione ad un disoccupato è “congrua” se, oltre ad altri elementi, la sede di lavoro o dell’ente di formazione disti in un raggio di non oltre 50 chilometri dal domicilio dell’interessato o sia comunque raggiungibile con mezzi di trasporto pubblico con percorsi non superiori a 80 minuti. Indirettamente, in questo modo, quanto meno rispetto al mercato del lavoro, il legislatore fornisce un elemento per stimare cosa si intenda per “area vasta”. Ma, il lavoro dovrebbe essere la guida per la ricognizione di un territorio omogeneo, nel quale programmare e gestire lo sviluppo economico. All’interno di una regione non vi è un unico mercato del lavoro, ma tanti mercati, che si tipicizzano nei distretti ed in aree il cui governo non può essere quello introspettivo legato ai confini di un comune.
Non è poi così difficile comprendere che questi identici ragionamenti si estendono all’istruzione e all’edilizia scolastica, alla programmazione urbanistica, agli interventi sull’ambiente, ma comunque agli altri e tantissimi aspetti delle attività delle province.
E’ piuttosto evidente che, quella essendo la quantità e qualità delle funzioni provinciali, difficilmente si riuscirebbe ad eliminare il “che cosa”. E, dunque, mai si otterrebbe il risparmio secco del volume di spesa di poco più di 12 miliardi di euro movimentato da questi enti. Semplicemente, la medesima cifra sarebbe spesa da altri soggetti, i comuni e le regioni, probabilmente con maggiore inefficienza organizzativa.
E’ facile supporre, infatti, che sia gli uni, sia le altre, tenderebbero a considerare le funzioni provinciali ad essi traslati un corpo estraneo, sul quale intervenire in via non prioritaria. Altrettanto semplice immaginare che il personale ex provinciale transitato possa essere molto velocemente avviato a coprire i tanti buchi in funzioni e competenze proprie e tipiche dei comuni e delle regioni, a detrimento, dunque, delle attività provinciali.
Eppure, proprio sulla questione delle competenze si sta giocando la parte più importante della disordinata riforma che si propone. La Carta delle autonomie prevede una riduzione drastica delle funzioni, senza considerare alcun criterio di territorialità nemmeno lontanamente simile a quello della proposta congrua di lavoro esemplificata prima: tanto è vero che la Carta non menziona le funzioni del mercato del lavoro tra quelle che residuerebbero alle province, nonostante esse siano considerate “fondamentali” dalla legge sul federalismo fiscale e nonostante su tali funzioni siano già stati determinati i fabbisogni standard.
Chi di competenza, invece di limitarsi a leggere le inchieste, utili per conoscere meglio gli sprechi ma insufficienti per fondare su di esse un ragionamento su nuovi assetti istituzionali, farebbe bene ad esaminare con molta attenzione l’elenco delle funzioni provinciali e l’attitudine di comuni o regioni a svolgerle. Così anche da riflettere un po’ di più ed evitare che nelle more qualcuno, come spesso accade, voglia essere più realista del re. Come proprio la Regione Veneto, la quale nonostante abbia intavolato con le province un sistema di ricognizione delle funzioni finalizzato all’emanazione della legge che entro il 31.12.2012 dovrebbe riarticolare le competenze provinciali dettate dalle leggi regionali, unilateralmente sta riappropriandosi di competenze e funzioni in tema di cave, tirocini estivi ed apprendistato, motivando ciò con l’osservazione della prossima sottrazione delle funzioni provinciali e senza nemmeno curarsi minimamente di attuare quanto l’articolo 23, comma 19, della legge 214/2011 prevede: “Lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono altresì al trasferimento delle risorse umane, finanziarie e strumentali per l’esercizio delle funzioni trasferite”. Del trasferimento di risorse, nelle ipotesi di leggi regionali venete, non v’è nemmeno l’ombra. Il modo ideale, insomma, per attuare la riforma delle province innescando processi di inefficienza gestionale e esuberi a catena di personale.
In tutto questo frangente, consorzi, consorzi di bonifica, bacini imbriferi, magistrato delle acque, enti parco, enti ed entarelli regionali, comunità montane ed unioni di comuni di ogni genere, continuano ad esistere e a persistere nel frastagliare le competenze ed a sovrapporle a quelle di comuni e province in particolare, senza che nessuno sia in grado di capire quali e quanti siano, quali spese movimentino, quale utilità concreta abbiano (visto che esercitano acclaratamente funzioni sovrapposte a quelle degli enti locali), senza esaminare nemmeno l’opportunità di accorpare questi enti a comuni o province, il che darebbe davvero una spinta razionalizzatrice al sistema istituzionale. Ma, forse, le cariche di amministratori di questi enti sono troppo importanti per garantire un futuro a chi abbia imboccato il viale del tramonto politico ed assicurargli una conclusione di carriera comunque redditizia e di potere.
La strada verso l’irrazionale modifica ordina mentale che riguardi le province appare spianata, in ogni caso.
Una considerazione finale va fatta. Il legislatore è ovviamente libero di apportare all’ordinamento tutte le riforme che crede. E’ di questi giorni la conferma, però, che le avventure servono a poco e costano tanto, tantissimo. Ci si riferisce alla pletora di agenzie sorte a partire dal 1999, enti serviti quasi solo a spacchettare direzioni generali dei ministeri, creando nuovi presidenti, nuovi direttori, nuove direzioni generali, migliaia di dirigenti a contratto cooptati non si sa come e perché. L’agenzia dei segretari comunali è stata soppressa, l’agenzia del territorio viene accorpata a quella delle entrate, i monopoli di Stato confluiscono nell’agenzia delle dogane. Facile immaginare che anche queste altre agenzie non avranno ulteriore vita lunga.
Altrettanto facile è preconizzare che se la riforma delle province proseguirà lungo la strada segnata, entro un decennio occorrerà ripensarla e correggerla, tali le incongruenze e le inefficienze si riveleranno come per quello che già oggi appaiono.


Pubblicato da il 19 giugno 2012 alle 16:06 in Amministrativo

19 giugno 2012

Tagli, per gli statali riduzione del 5%, per i dirigenti stipendi più magri

Componenti CISL: Bessone-Scarzello-Punzi-Fea-Rosso

Tagli, per gli statali riduzione del 5% - Per i dirigenti stipendi più magri
Patroni Griffi accelera sulla nuova pianta organica: punta a varare la riorganizzazione degli uffici nel decreto sulla spending review

ROMA - E’ ormai una corsa contro il tempo e il ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi accelera per salire sul treno della spending review. Dopo le misure apripista decise venerdì dal governo con la riduzione del 20% dei dirigenti di Palazzo Chigi e del 10% della pianta organica del personale al ministero dell’Economia (Mef), ora la palla è in mano alla Funzione pubblica. L’obiettivo è di inserire un nuovo pacchetto statali nel decreto di revisione permanente della spesa che sarà presentato entro fine mese: taglio del 5% della pianta organica, sforbiciata alle retribuzioni dei dirigenti con più anzianità, buoni pasto ridotti.

Pianta organica. In gioco non ci sono tagli lineari per fermare la crescita della spesa per il personale, ma un ridimensionamento legato a una profonda riorganizzazione dell’amministrazione pubblica. «Dobbiamo far capire a tutto lo Stato che è finito il tempo che consentiva di avere troppi dirigenti rispetto al totale del personale. Ora tocca a tutte le amministrazioni pubbliche comportarsi altrettato seriamente», ha anticipato il viceministro Vittorio Grilli venerdì. Sul tavolo di Patroni Griffi in questo ore è una riduzione soft del 5% della pianta organica (e quindi non del personale in servizio) dei ministeri. E’ una misura che non è detto abbia subito l’effetto di ridurre il numero dei dipendenti in servizio, ma lo farà nel tempo: quindi in alcuni uffici ci potrebbero essere degli esuberi se la pianta organica è già interamente coperta; in altri invece potrebbero non esserci affatto. Ciò avrà certamente un impatto strutturale poiché non si faranno più concorsi o trasferimenti per i posti cancellati.

Province. Si torna poi a parlare della riduzione già programmata del numero delle Province (oggi sono 107 più altre 3 a statuto speciale). L’ipotesi a cui si starebbe lavorando è di un taglio del 20% ma non è detto ci si limiti a questo numero perché la scelta del taglio va inquadrata nella logica della spending review: accorpare gli uffici pubblici a livello territoriale, cancellarli là dove non servono, realizzare economie di lungo periodo. Le Province di maggiori dimensioni «hanno spese per abitante notevolmente più basse delle province più piccole» si legge nella carte presentate dal ministro Giarda. Inoltre, è tutta l’organizzazione statale che è declinata su base provinciale. Un modello organizzativo che al ministero dell’Interno costa almeno 400 milioni l’anno.

La trasformazione delle Province in enti di secondo livello è stata già decretata dal salva-Italia. Da allora è andato avanti il lavoro parlamentare per ridisegnare la mappa territoriale e arrivare alla definizione di nuove macroaree. Quanto macro? Si parla tuttora di parametri tra i 300 e i 400 mila abitanti e di una superficie minima di 3.000-3.500 km quadrati. L’ipotesi più restrittiva porterebbe ad una cinquantina di macroaree, dimezzando le 110 province attuali. Quella alla quale si starebbe invece lavorando ora ridurrebbe del 20% il numero degli uffici provinciali: comunque un bel taglio considerato che tutte le strutture pubbliche territoriali (prefetture, uffici giudiziari, tesorerie, etc.) si accorperebbero di conseguenza.

Dirigenti. Dopo l’avvio della dieta deciso da Palazzo Chigi e dal Mef, si profile una nuova tagliola: una delle norme allo Studio, di cui Il Messaggero ha già riferito, prevede che al compimento dei 40 anni di servizio i dirigenti possano essere messi in una sorta di «cassa integrazione» mantenendo l’80% dello stipendio (non del trattamento complessivo) fino al raggiungimento dei requisiti per andare in pensione. Altra ipotesi sul tappeto quella di rivedere il rapporto tra dipendenti e metri quadrati in modo da razionalizzare gli spazi evitando sprechi. Su questo progetto è impegnata l’Agenzia del Demanio che ha recentemente presentato i primi calcoli sui risparmi strutturali possibili da una migliore utilizzazione degli uffici.

Pubblico impiego, soppressi l’Agenzia del territorio ed i Monopoli di Stato


Componenti CISL: Bessone-Scarzello-Punzi-Fea-Rosso

Pubblico impiego, soppressi l’Agenzia del territorio ed i Monopoli di Stato

In attesa del pacchetto statali che sarà contenuto nel decreto sulla “spending review”, pacchetto piuttosto corposo che sarà emanato nei prossimi giorni, il Consiglio dei Ministri  ha emanato due decreti che riguardano la crescita ed il taglio dei costi dello Stato. In particolare con quest’ultimo, giunto fuori sacco in quanto non all’ordine del giorno, è stata prevista, tra l’altro, la soppressione dell’Agenzia del Territorio. con contestuale trasferimento di funzioni. compiti e personale all’Agenzia delle Entrate, e la soppressione dell’AMMS, Azienda Autonoma dei Monopoli di Stato, con relativo trasferimento di funzioni e personale all’Agenzia delle Dogane. Questo è il primo “assaggio” del taglio dei costi dello Stato i cui esiti saranno evidentemente correlati con le ulteriori disposizioni che saranno adottate con il prossimo decreto.

18 giugno 2012

Monti taglia iniziando da 20 Province

A cura di Claudio Bongiovanni, Valter Giordano, Diego Reineri, Franco Ferraro e Guido Marino

link diretto all'articolo

leggo.it
Lunedì 18 Giugno 2012 - 07:13
di Alessandra Severini
ROMA - Qualche decina di province in Italia rischia di scomparire. Da tempo ormai, ogni qualvolta si parla di risparmi sulla spesa pubblica, si guarda agli enti provinciali. Lo aveva fatto l’ultim governo Berlusconi e poi anche Monti che, con il decreto Salva Italia del dicembre 2011, aveva progettato la riforma dei consigli provinciali.
Ma se la scure sulle province richiederà tempi lunghi, il governo dei tecnici ha fretta e, nella spending review, pensa di inserire almeno una riduzione degli uffici provinciali. Si partirà probabilmente con le prefetture e i provveditorati, mentre per i comuni più piccoli potrebbe essere previsto l'obbligo di istituire dei consorzi. L'intervento dovrebbe riguardare almeno il 20% delle 107 province italiane a statuto ordinario. La revisione della spesa pubblica fa poi tremare i lavoratori statali, in difesa dei quali alzano la voce i sindacati. Il governo starebbe studiando il taglio del 5% della pianta organica (ma non del personale effettivamente in servizio), la riduzione delle retribuzioni dei dirigenti e buoni pasto più leggeri. Probabile anche il ricorso ai prepensionamenti, mentre è difficile che si possa arrivare a veri e propri licenziamenti.
I sindacati hanno già avvertito il governo, con il segretario della Cgil Susanna Camusso che ha tuonato: «Tagliare le retribuzioni pubbliche non è fare spending review». Al vertice europeo di fine giugno -che gli osservatori ritengono decisivo per il futuro dell'euro - il premier intende arrivare con riforme di peso già approvate.
Monti ha già confessato che spera di vedere la riforma del mercato del lavoro approvata dal Parlamento prima del 28 giugno. Per il presidente della Camera Fini, la data può essere rispettata, ma «è necessario che Pdl e Pd, contrariamente a quanto accaduto fino ad oggi, ne condividano la necessità». I democratici hanno già dato la loro disponibilità, chiedendo però in cambio al governo «un decreto legge per risolvere la questione esodati». Meno convinto il Pdl, mentre il leader Udc Casini esorta gli alleati: «Mi auguro che prevalga la responsabilità nei partiti che compongono la maggioranza».

13 giugno 2012

Primi passi di una Provincia Commissariata

A cura di Claudio Bongiovanni, Guido Marino, Valter Giordano, Diego Reineri e Franco Ferraro.

PRIMI PASSI DI UNA PROVINCIA COMMISSARIATA: VICENZA - 
tratto dal sito Vicenza Today

La nuova "Giunta" della Provincia di Vicenza si è costituita e si è già riunita ieri per l'approvazione delle prime delibere. Due i componenti, dopo che la riforma delle Province in elaborazione al Parlamento ha commissariato Vicenza (oltre che La Spezia, Ancona e Como). Il Commissario Straordinario Attilio Schneck è affiancato dal sub-commissario Francesca Galla, VicePrefetto di Vicenza e dirigente dell'area Raccordo con gli Enti della Prefettura. I due sono coadiuvati nei loro lavori dal Segretario Generale Angelo Macchia e dal Capo di Gabinetto Dino Secco. LA PROVINCIA DI VICENZA "TAGLIATA" DA MONTI

"Ciò che di sicuro non manca a questa mini giunta è l'esperienza e la capacità di gestire un ente con soluzione di continuità rispetto al passato e con la volontà di dimostrarne l'efficacia e l'efficienza anche per il futuro" ha dichiarato l'ex Presidente Schneck, in accordo con la dott.ssa Galla, che ha dalla sua più esperienze di Commissario Straordinario in Comuni vicentini.

Schneck ha subito chiarito che "non è prevista alcuna suddivisione delle competenze. Gestiremo quest'ente assieme confrontandoci sulle varie problematiche e portando avanti quel programma che già è stato tracciato dalla passata amministrazione."
Annuncio promozionale
Un programma su cui già sta lavorando l'Ente, per garantire servizi alla comunità e al territorio. Proprio per evidenziare questa volontà Schneck e Galla hanno incontrato anche i dirigenti della Provincia: un primo incontro conoscitivo a cui di certo ne seguiranno altri. E' già fissato invece il prossimo appuntamento della "Giunta" che, secondo tradizione, si ritrova ogni martedì mattina.

12 giugno 2012

Ora l'esecutivo rallenta la riforma sulle Province


Componenti CISL: BESSONE-PUNZI-SCARZELLO-ROSSO-FEA

Da LA STAMPA

"Camere con vista " di CARLO BERTINI

ORA L'ESECUTIVO

RALLENTA LA RIFORMA DELLE PROVINCE

Se le cose andranno avanti come negli ultimi sei mesi, la famosa abolizione delle Province continuerà ad essere una bandiera dei cultori dell'antipolitica. Martedì il riordino delle province sarà di nuovo all'esame della commissione Affari Costituzionali: che da luglio 2011 ad oggi, l'ha messa in calendario per ben 24 sedute, alcune di 10 minuti l'una; non riuscendo a sbloccare una riforma-tormentone che si trascina da anni. Rilanciata per di più dal decreto salva-Italia con cui il governo ha svuotato di poteri le Province, affidandone le competenze a Comuni e Regioni, cui verrebbe trasferito tutto il personale, disponendo lo stop alle elezioni di presidenti e consiglieri.

E' dal 2009 che si discute, su input di Udc e Idv, se abolirle del tutto, con Lega, Pdl e Pd sempre sulla difensiva. Ma dopo il "salva-Italia", da gennaio le cose cambiano: il governo impone un'accelerazione e a quel punto, prima nel Pdl e poi nel Pd passa la linea di razionalizzazione. Travasata nel testo unificato che si discute alla Camera: assottigliamento delle funzioni, definizione di soglie demografiche e territoriali sui 400 mila abitanti, che comporterebbe una riduzione di una quarantina di province su 108; stop all'elezione diretta e trasformazione dei consigli provinciali in organi rappresentativi dei comuni. Con un quarto punto, simbolicamente significativo: l'eliminazione della parola Province dagli articoli della costituzione in cui vengono equiparate a Regioni e Comuni.

Dopo una serie di rinvii e dilazioni ad opera dei vari gruppi, per uno strano paradosso però è il governo che comincia a rallentare il processo. Da quattro mesi la Commissione attende risposte sui punti chiave: se le Province debbano ancora figurare nella carta costituzionale e sulle soglie demografiche da fissare per far sopravvivere almeno le più grandi. Non è dato sapere se sia un gioco delle parti indotto da chi nei partiti vuole frenare la riforma, giocando sui dubbi dell'esecutivo. Perché in mancanza di risposte del governo, i partiti potrebbero marciare da soli, approvando il testo base che di fatto è già pronto: ma non è previsto che ciò avvenga neanche questa settimana. Quindi tutto slitterà ancora. Anche se il decreto già in vigore prevede che le province in scadenza vengano commissariate una ad una...

La riforma procede a singhiozzo tra contraddizioni e ripensamenti

Componenti CISL: PUNZI-SCARZELLO-FEA-BESSONE-ROSSO

La riforma procede a singhiozzo tra contraddizioni e ripensamenti

Province eliminate? Macché, il cantiere è ancora aperto

È ancora un cantiere aperto la riforma delle province. L'articolo 23 del decreto «salva Italia», convertito in legge 214/2011, che ha previsto la sottrazione alle province di tutte le funzioni, salvo quelle imprecisate di coordinamento e indirizzo dei comuni, pare aver perso la forza propulsiva. Tanto che la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale nella seduta dello scorso 29 maggio ha approvato un documento che invita il Parlamento a rivedere fortemente le scelte tradotte nella legge 214/2011.Il punto 7 del documento è molto chiaro: la commissione invita sostanzialmente ad abbandonare la fretta, consigliera del decreto 201/2011 per imboccare, invece, la strada di una riforma organica delle istituzioni di governo di area vasta.

La Commissione auspica che si affianchi aduna revisione del numero delle province, che dunque non dovrebbero essere soppresse e basta, la ridefinizione delle loro funzioni, sopprimendo però tutti gli enti strumentali cui siano state affidate funzioni e competenze esercitabili direttamente dalle province.Nella sostanza, la Commissione chiede di non far andare perduto il lavoro già svolto per l'individuazione dei fabbisogni standard, in attuazione della legge 42/2009 sul federalismo fiscale, che sempre la Commissione ritiene indispensabile attuare completamente, come strumento di aiuto alla revisione e riduzione della spesa.

Le province hanno già determinato i fabbisogni riguardanti, i servizi istituzionali e il mercato del lavoro, nonché gestione dell'istruzione superiore ed edilizia scolastica. Ma, proprio queste due ultime funzioni risultano cancellate dal novero di quelle spettanti alle province dal testo della Carta delle autonomie, attualmente all'esame del Parlamento.

Laddove il Parlamento dovesse abbandonare la strada segnata dalla legge 214/2011 e mantenere in capo alle province funzioni sovracomunali, oggettivamente appare inopportuno eliminare dalle funzioni provinciali proprio quelle delle scuole superiori. La rete dell'offerta formativa e i lavori di edilizia scolastica richiedono investimenti e programmi coordinati, che solo un ente di livello territoriale più ampio di quello comunale potrebbe garantire.

Lo dimostra, del resto, lo stato a dir poco degradato col quale le scuole superiori vennero passate, alla fine degli anni 90, alle province da parte dello Stato e dei comuni.In quanto al mercato del lavoro, risulta piuttosto chiaro come le funzioni di supporto alla ricerca di occupazione non sono adeguate ad i confini comunali, mentre l'estensione territoriale di una regione è troppo ampia per gli specifici mercati dei territori. Non è, del resto, un caso se il ministero del lavoro da sempre si era organizzato su base territoriale provinciale e mediante sezioni circoscrizionali sub provinciali, e che ancora oggi l'Inps ricalchi questa organizzazione.Per altro, stride col disegno di eliminare in capo alle province le funzioni relative al lavoro il disegno di legge-Fornero, il quale a più riprese menziona quali protagonisti dell'erogazione dei servizi essenziali per la ricerca del lavoro i «servizi competenti» ai sensi del dlgs 181/2000. Ma i servizi competenti, altri non sono se non i centri per l'impiego, operanti proprio come articolazioni delle province.

Pertanto, stando a quanto, sia pure indirettamente, prevede la riforma del mercato del lavoro, le funzioni riguardanti il mercato del lavoro resterebbero appannaggio delle province.Il documento sul federalismo fiscale approvato dalla Commissione dovrebbe essere l'occasione per fare un po' d'ordine e correggere scelte forse troppo frettolose.

È lo stesso documento a spiegare che una rimeditazione ponderata della riforma delle province è necessaria in relazione all'impatto «che il trasferimento delle funzioni e delle risorse oggi gestite dalle province avrà sui bilanci e sull'organizzazione di regioni e comuni». Ci si è, insomma, accorti che i costi di una riforma non ben congegnata potrebbero rivelarsi superiori ai suoi benefici.

Luigi Oliveri

Rinnovarsi o sparire? Le Province vogliono chiarezza da Monti


Componenti CISL: FEA-PUNZI-ROSSO-SCARZELLO-BESSONE

Rinnovarsi o sparire? Le Province vogliono chiarezza da Monti

Carla Ruffino

Il decreto sulla spending review, pronto a fine mese, dovrebbe contenere i criteri per l’accorpamento delle Province, come chiesto dall’Europa. Nell’attesa, l’Unione delle province chiede all’esecutivo e al Parlamento, alle prese con il nuovo Codice delle autonomie, di fare in fretta. Perché dal prossimo anno, secondo il decreto “Salva Italia”, gli enti intermedi spariranno. E alcuni di loro, di fatto, sono già spariti.

***********************************
Vi ricordate l’abolizione delle Province? Se ne parla da decenni. L’aveva prevista, per restare ai tempi recenti, la manovra della scorsa estate dell’ex ministro Tremonti, che avrebbe dovuto tagliare i 36 enti intermedi sotto i 300mila abitanti. La Lega era insorta, cavalcando il coro di proteste di mezza Italia e la contestata misura era stata rinviata a data da destinarsi (inserita in una legge di riforma costituzionale dai tempi lunghi e gli esiti incerti).

Poi è arrivato il Governo Monti, che all’articolo 23 del decreto “Salva Italia” di dicembre trasforma le Province in enti di secondo livello, eletti cioè non direttamente dai cittadini, ma da rappresentanti dei Comuni e le svuota, di fatto, di qualsiasi funzione, tranne quelle di indirizzo e coordinamento delle attività comunali. Spariscono, inoltre, le giunte con i loro assessori e i consigli provinciali sono formati da non più di dieci componenti. Il risparmio atteso, fa sapere l’esecutivo, è di 65 milioni di euro. Anche in questo caso le proteste sono pressoché immediate: l’Upi (Unione delle Province italiane) organizza consigli aperti per spiegare cosa sarebbe “un’Italia senza Province”, mentre alcune Regioni, seguendo l’esempio del Piemonte, fanno ricorso alla Consulta contro il “Salva Italia” che, in sostanza, priva le Province della loro natura costituzionale.

Oggi a che punto siamo? Il 6 aprile scorso il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge, che deve ancora iniziare il suo iter parlamentare, e su cui l’Upi ha già espresso parere negativo, che conferma la trasformazione delle Province in enti di secondo livello e detta le regole per il nuovo sistema elettorale. Presidenti e consigli provinciali saranno eletti con metodo proporzionale – senza soglie di sbarramento e premi di maggioranza – dai sindaci e dai consiglieri comunali. Il provvedimento, per ora, è fermo al palo. Nel frattempo, però, nel dibattito pubblico (per la verità piuttosto limitato) il tema dell’abolizione delle province è stato rimpiazzato da quello del loro accorpamento.

La stessa Bce, dopo aver caldeggiato, nella lettera dello scorso agosto (firmata dall’ex presidente Trichet e da Draghi allora Governatore della Banca d’Italia, e indirizzata all’esecutivo Berlusconi, ndr) l’abolizione o fusione di «alcuni strati amministrativi intermedi (come le Province)», di recente ha invece fatto sapere che «accorpare le Province sarebbe l’unica, vera misura di taglio di costi della politica».

Così, seguendo le indicazioni dell’Europa, il Governo Monti dovrebbe inserire nel decreto sulla spending review il capitolo Province. Con il sottotitolo, ovviamente, non più “soppressione” ma “accorpamento” che dovrebbe avvenire tenendo conto di tre parametri: la popolazione (con l’asticella fissata a quota 300 o 400mila abitanti), la superficie, e il numero di Comuni. In questo modo, a seconda dei casi, le Province dovrebbero scendere di 17 o 30 unità, cioè passare da 107 a 90 o da 107 a 77. Certo è, fa notare l’Upi, che in assenza di una riforma organica delle autonomie locali, il rischio di rivalità di antica memoria e rivendicazioni territoriali è alto (quante Province mal sopporterebbero di essere assorbite dai territori confinanti?).

Anche per questo l’Unione delle province italiane torna alla carica con la propria controproposta, presentata per la prima volta a febbraio e che sarà nuovamente al centro dell’assemblea nazionale del 26-27 giugno prossimi a Roma. In quell’occasione sarà anche presentato un manifesto, sottoscritto da Valerio Onida, presidente emerito della Corte costituzionale, che chiede, tra gli altri, di considerare negli accorpamenti le specificità dei territori, e che il ruolo di regia sia affidato alle Regioni.

Le Province, che confidano nell’autoriforma piuttosto che nella scure calata dall’alto, richiedono inoltre una delega, da parte del Governo, per istituire le 10 città metropolitane (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Reggio Calabria) previste dalla Costituzione ma mai attuate; la riduzione da 107 a 60 delle Province, la revisione di tutti gli enti periferici dello Stato (prefetture, camere di commercio, sedi decentrate dei ministeri) e delle oltre 5mila tra aziende, società e agenzie strumentali, che spesso esistono solo per generare consenso.

L’operazione, anche questa dai tempi presumibilmente lunghi, dovrebbe far risparmiare alle casse pubbliche 5 miliardi di euro.

Intanto, la commissione Affari costituzionali del Senato sta lavorando, con non poche difficoltà, alla nuova Carta delle autonomie, che dovrebbe lasciare alle Province poche funzioni di “area vasta” (governo del territorio, viabilità, trasporti) privandole di altre, come la gestione dei centri per l’impiego e l’edilizia scolastica. Inutile dire che l’Upi non è d’accordo.

Tuttavia, mentre le Province si dicono disponibili a cambiare ma alle loro condizioni, e Governo e Parlamento non sembrano avere un orientamento chiaro, il tempo stringe. Perché se il nuovo Codice degli enti locali non sarà approvato entro il 31 dicembre 2012, le province perderanno, come prevede la manovra di Monti, tutte le competenze amministrative che andranno trasferite ai Comuni e alle Regioni. Che il fattore temporale non sia secondario lo dimostra il caso delle 9 amministrazioni, in scadenza di mandato, che a maggio non sono andate al voto e sono state commissariate, sempre come stabilisce il “Salva Italia”. Anche loro, al pari di 8 Regioni, hanno annunciato il ricorso alla Consulta. Che potrebbe anche esprimersi favorevolmente, vista la dubbia costituzionalità di una misura che impone l’eliminazione, per legge ordinaria, di organi elettivi previsti dalla Costituzione. Per questo al Governo e al Parlamento conviene agire bene, e in fretta.

11 giugno 2012

Province quale futuro: lavori parlamentari programmati

A cura di Claudio Bongiovanni, Valter Giordano, Franco Ferraro, Guido Marino e Diego Reineri
Dal sito UPI
Province: aggiornamenti sui lavori parlamentari.
Il 12 e il 14 giugno è calendarizzata in Commissione Affari Costituzionali della Camera la discussione su la riforma del sistema elettorale delle Province (AC 5120).

Il 14 giugno è calendarizzata la riunione del Comitato Ristretto della Camera per la modifica dell'Articolo 133 della Costituzione (quello che stabilisce in che modo è possibile modificare - e quindi accorpare - i confini delle Province)

In Commissione Affari Costituzionali del Senato, invece il 13 giugno è calendarizzata la discussione sulla Carta delle Autonomie (AS 2259 CARTA DELLE AUTONOMIE), mentre il 12 giugno in Commissione Bilancio del Senato è previsto l'espressione del parere sugli emendamenti alla Carta delle Autonomie.

Solo per chiarezza di informazione: il fatto che questi temi siano stati calendarizzati non significa necessariamente che saranno affrontati in quei giorni....

08 giugno 2012

Esito assemblea Unione Province Piemontesi

Rassegna stampa curata da Claudio Bongiovanni, Guido Marino, Franco Ferraro, Valter Giordano e Diego Reineri

Met: link diretto all'articolo  7 giugno 2012

PROVINCE: IL PROFESSOR ONIDA RIBADISCE L’INCOSTITUZIONALITÀ DEL ‘SALVA ITALIA’  .

Intervento all'Assemblea delle Province Piemontesi.
Si è svolta questa mattina nell’Auditorium della Provincia di Torino, l’Assemblea dell’Unione delle Province Piemontesi a cui hanno partecipato il Presidente dell’UPP Massimo Nobili, il vice Presidente dell’UPI Antonio Saitta e il Presidente emerito della Corte Costituzionale Valerio Onida. I lavori assembleari hanno registrato anche l’intervento dell’Assessore agli Enti Locali della Regione Piemonte Elena Maccanti e del Presidente del Consiglio Autonomie Locali Carlo Riva Vercellotti.

In una sala al completo di amministratori delle otto Province piemontesi, rappresentanti della Regione e delle organizzazioni sindacali dei lavoratori delle amministrazioni provinciali, il Presidente UPP Nobili ha evidenziato il coraggio di un’autoriforma che comporta la riduzione del numero delle Province, ma allo stesso tempo la riaffermazione del loro ruolo di enti di coordinamento di area vasta, con precise funzioni, competenze e risorse.

“Contiamo molto sulla collaborazione con la Regione Piemonte, la quale – ha detto Nobili – ha sempre riconosciuto le specifiche funzioni delle Province nei confronti dei diversi territori piemontesi. Un principio che anche oggi è stato rimarcato dall’Assessore Maccanti.”.

Il professor Valerio Onida ha ribadito come il Decreto ‘Salva Italia’ del Governo Monti presenti ‘forti elementi di incostituzionalità’, oggetto di disamina il prossimo novembre della Corte Costituzionale. Ha inoltre osservato che non sono le Province a costituire un’anomalia, ma è un’anomalia il fatto stesso di abolirle, ribadendo come sia difficile individuare funzioni di area vasta da collocare a livello regionale o comunale, mentre la Provincia può benissimo assolvere a questo ruolo.

“Abbiamo fatto nostra la posizione del Professor Onida: è diventata un ‘manifesto’ che come UPP porteremo all’Assemblea UPI il prossimo 26 e 27 giugno a Roma. Un documento in cui viene ancora una volta ricordato – aggiunge Nobili – come sia imprescindibile per le Province rinunciare alla rappresentatività democratica garantita dalle elezioni dirette. Non possiamo regredire a enti di secondo grado, soprattutto di fronte a una contraddizione quale assegnare ‘status’ di primo livello alle Città Metropolitane”.

Altro punto su cui ritorna Nobili è quello della fiscalizzazione diretta. “Chiediamo alla Regione di poter far fronte ai nostri bilanci avvalendoci di introiti quali il bollo auto, già previsto da quest’anno in Lombardia. Su mia proposta – prosegue Nobili – nella delibera regionale di assegnazione di risorse per le funzioni delegate alle Province, è stato inserito un richiamo a questa possibilità. Mentre sul piano delle relazioni con il Governo, attendiamo che questo formuli la sua proposta per rilanciare un confronto sull’ipotesi di accorpamento che – stando alle notizie oggi in nostro possesso – dovrebbe basarsi sul triplice criterio del numero di abitanti, estensione dei territori e numero dei comuni”.
07/06/2012 16.13
Redazione di Met

07 giugno 2012

Accorpamento delle Province: contributo tecnico dall'Università di Padova

Rassegna stampa a cura di Claudio Bongiovanni, Valter Girodano, Guido Marino, Diego Reineri e Franco Ferraro.


Pubblichiamo un contributo del costituzionalista Daniele Trabucco, dell'Università degli Studi di Padova, dal titolo "Accorpamento di Province: l’Europa non ha alcuna competenza", un'analisi alla luce anche delle recenti dichiarazioni del Presidente della BCE. 
Alternative image text Scarica il testo ( 72,12 kB )