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31 agosto 2012

Gancia: No alle Province a statuto speciale: "E' concorrenza sleale"


COMPONENTI CISL: BESSONE-SCARZELLO-PUNZI-FEA-ROSSO

da La Stampa
No alle Province a statuto speciale: "E' concorrenza sleale"

La presidente di Cuneo ospite a Novara: "A Trento e Bolzano bilanci che non reggono il confronto con i nostri enti"

"Quella delle Province a statuto speciale è una concorrenza sleale. La Provincia di Cuneo, includendo la sanità, di competenza regionale, avrebbe un bilancio di 1 miliardo e 120 milioni che non regge il confronto con i 5 miliardi della provincia di Bolzano. Trento e Bolzano, da sole, hanno lo stesso bilancio (10 miliardi) che assommano tutte le altre

107 Province italiane". La presidente della Provincia di Cuneo, Gianna Gancia (Lega Nord) ha attaccato Province e Regioni a statuto speciale a margine di un incontro con il collega della provincia di Novara, Diego Sozzani.

"E' finito il periodo storico che poteva giustificare situazioni di questo genere", ha aggiunto la presidente, sulla riforma delle Province ha precisato: "Non saremo più in grado di mantenere le funzioni sui nostri territori". La presidente Gancia ha poi criticato duramente la riforma elettorale che non prevede più l'elezione diretta dei presidenti di Provincia: "Il cittadino deve votare e poter giudicare l'operato di chi ha scelto": Gianna Gancia ha evidenziato la necessità di riprendere le riforme del Ferderalismo (cavallo di battaglia del suo compagno, l'ex ministro Roberto Calderoli) rimaste in un cassetto: "Alcune cose sono state fatte da questo governo, ma bisogna proseguire per responsabilizzare i territori".



30 agosto 2012

Province, volano coltelli. E ricorsi


COMPONENTI CISL:BESSONE-SCARZELLO-PUNZI-FEA-ROSSO

Da Italia Oggi

Province, volano coltelli. E ricorsi

Di Francesco Cerisano

Altro che accorpamenti senza strappi, altro che concertazione. Tra le province candidate a scomparire iniziano a volare i coltelli. E i ricorsi. In Piemonte si è creato un inaspettato asse Pd-Lega contro l'accorpamento della provincia di Asti con quella di Alessandria. In Toscana si continua a litigare. Mentre il presidente della provincia di Matera, Francesco Stella, rompe gli indugi e per primo decide di portare il governo Monti davanti al Tar Lazio. «Faremo di tutto per difendere la dignità del nostro territorio che è diventato provincia nel 1927, prima di Potenza, arrivando ad amministrare anche comuni della Terra d'Otranto», dice a ItaliaOggi con una punta di campanilismo.

Il ricorso contro la spending review e la delibera del 20 luglio (pubblicata sulla G.U. n171 del 24 luglio), con cui il consiglio dei ministri ha fissato in 350 mila abitanti e 2.500 kmq i requisiti minimi di sopravvivenza per gli enti, è pronto e sarà depositato nei prossimi giorni. Con un duplice obiettivo: ottenere subito la sospensione dell'iter di accorpamento ad opera del Tar e convincere i giudici amministrativi a trasmettere gli atti alla Corte costituzionale.

I criteri individuati dal governo Monti, secondo i legali della provincia (che si sono avvalsi anche della consulenza del professor Pietro Ciarlo, ordinario di diritto costituzionale all'università di Cagliari) sarebbero viziati da eccesso di potere e violazione di legge. E tra le norme violate vi sarebbe proprio l'art.133 della Costituzione che disciplina la modifica delle circoscrizioni territoriali prevedendo che sia una legge a definirla su iniziativa dei comuni, sentita la regione.

«Una legge, appunto, non un decreto come la spending review che affida a una delibera del consiglio dei ministri il compito di individuare i parametri, violando apertamente il principio della riserva di legge», commenta Rosina D'Onofrio, avvocato generale della provincia. «E poi», prosegue agguerrita l'avvocatessa materana, «sulla base di quale logica sono stati scelti i criteri della dimensione territoriale e della popolazione residente e non altri, come per esempio il Pil, la presenza di infrastrutture, il patrimonio culturale? I requisiti dovevano essere molti di più e spettava al parlamento definirli con precisione attraverso una legge delega. Ecco perché siamo convinti che il Tar e la Consulta ci daranno ragione».

Scegliendo la via delle carte bollate rispetto a quella della concertazione istituzionale, la provincia di Matera ha voluto portarsi avanti. Anche perché in Basilicata non sembra proprio che la questione del riordino delle province sia vissuta come prioritaria. Anzi. La regione non ha ancora istituito il Consiglio delle autonomie locali (al pari di Calabria, Puglia e Molise) e al suo posto ha creato una Conferenza permanente delle autonomie locali. La differenza tra i due organi non è solo nominalistica perché, fanno notare i diretti interessati, nei Cal le province sono maggiormente rappresentate e hanno più voce in capitolo. Nel secondo caso sono le regioni a farla da padrone. Tuttavia, visto che la legge 135/2012 fa riferimento solo ai Cal, non sembra sia possibile procedere al riordino delle province senza prima averli istituiti.

Là dove invece i Cal ci sono e sono operativi le cose non vanno meglio. In Toscana i presidenti delle province di Arezzo (Roberto Vasai), Livorno (Giorgio Kutufà) e Lucca (Stefano Baccelli) hanno scritto al governatore Enrico Rossi chiedendogli «di abbandonare il decisionismo e l'atteggiamento di sfida» e di desistere dal proposito di costituire tre macro-province con capoluoghi Firenze, Siena e Pisa.

In Piemonte, invece, l'ipotesi di un accorpamento tra la provincia di Asti e quella di Alessandria, non piace proprio a nessuno. E così si registra un'inusuale convergenza di opinioni tra la Lega che è al governo della regione e il Partito democratico. L'assessore regionale al bilancio, Giovanna Quaglia, ieri ha ribadito davanti al Cal Piemonte la propria contrarietà all'accorpamento di due territori «non omogenei». E una sponda inattesa è arrivata dal consigliere regionale Angela Motta (Pd) che ha definito «inaccettabile un ridisegno delle province del Piemonte incardinato sul principio dei quattro quadranti, che porti inesorabilmente alla fusione tra Asti ed Alessandria, o meglio all'annessione della prima da parte della seconda».

Insomma, questa settimana doveva essere decisiva e invece le prime riunioni dei Cal si sono rivelate un nulla di fatto. E la scadenza del 3 ottobre è sempre più vicina.

Riordino delle Province

 COMPONENTI CISL: BESSONE-SCARZELLO-PUNZI-FEA-ROSSO

TargatoCN
POLITICA

giovedì 30 agosto 2012, 08:50

Riordino delle Province, tutto in un mese: la Regione al lavoro per elaborare le proposte da sottoporre al Governo

Il Presidente del Consiglio Cattaneo: "Va fatto un lavoro comune perché si tratta di una riforma epocale"

Usare coerenza e intelligenza. Prima di avviare il rapidissimo percorso di loro competenza, per proporre la dimensione territoriale delle nuove Province: è quanto ribadito dal Consiglio delle autonomie locali del Piemonte (Cal) nell’incontro del 29 agosto 2012 a Palazzo Lascaris, nel corso del quale è stato presentato il programma di lavoro per giungere al riordino previsto dal governo nel processo di revisione della spesa, la spending review.

“Va fatto un percorso comune, Cal, Consiglio regionale e Regione, perché si tratta di una riforma epocale. Al di là delle varie posizioni politiche, mi auguro che il Piemonte possa giungere ad una soluzione prima del termine ultimo imposto dalla legge”, ha sottolineato il presidente del Consiglio regionale del Piemonte, Valerio Cattaneo.

“Davanti alla decisione del governo di rinunciare all’elezione diretta dei presidenti delle Province e dei relativi Consigli sono personalmente dispiaciuto. Il nostro lavoro dovrà perciò essere quello di individuare i margini di miglioramento dei criteri fissati dalla legge approvata e quali saranno perciò gli spazi per le proposte di riordino che le Regioni dovranno inviare al governo”, ha aggiunto Cattaneo.

“Abbiamo poco più di un mese per redigere la proposta sulle nuove Province del Piemonte, siamo pronti alla sfida della creazione di istituzioni intermedie fra Comuni e Regione per il governo in aree vaste delle importanti competenze che gli sono attribuite: politiche per l’ambiente, programmazione territoriale e delle infrastrutture e dei trasporti, edilizia scolastica per le scuole secondarie”, ha sottolineato il presidente del Cal Piemonte Carlo Riva Vercellotti.

“In questa prima seduta è importante fornire una corretta ed efficace informazione anche per preparare al meglio i lavori della seduta congiunta con il Consiglio regionale del Piemonte, appuntamento molto importante, che si terrà lunedì 10 settembre”, ha concluso Riva Vercellotti.

Tre sono le date che governeranno i lavori: entro il 2 ottobre dovrà essere redatta la proposta del Cal, il 3 ottobre la stessa dovrà essere trasmessa alla Regione Piemonte che avrà a disposizione venti giorni (entro il 23 ottobre) per la proposta ufficiale al governo.

Nel corso del dibattito generale è emersa la necessità di un maggiore coinvolgimento e confronto sul tema con i Comuni ed è stata sottolineata l’urgenza di comprendere con chiarezza quali saranno le competenze dei nuovi enti intermedi e le effettive risorse a loro disposizione, per evitare che vengano a mancare servizi essenziali per i territori.

Si è auspicato che la razionalizzazione degli enti non si riduca a un accorpamento geografico-amministrativo ma segua un criterio di omogeneità dei territori, specie in termini di attività economiche, caratteristiche storico-culturali e del suolo.

È stato infatti a più voci ribadito che il riassetto istituzionale in corso deve avvenire allo scopo di accrescere la competitività del Piemonte in Europa. Si è inoltre espresso rammarico per la previsione della elezione di secondo grado del presidente delle Province e delle Città metropolitane, ipotizzando un sollecito del governo da parte della Regione affinché questo punto sia rivisto in sede di attuazione del provvedimento. Da più parti è stato infine ribadito che i tagli delle risorse hanno in realtà penalizzato maggiormente le Province dotate di più competenze.

L’assessore agli Enti locali, Elena Maccanti, ha ricordato l’impegno della Regione - contenuto nel primo ddl sul decentramento - nel rivedere ogni funzione attualmente condivisa a livelli diversi di governo al fine di evitare ripetizioni e sprechi. L’assessore ha però anche riconosciuto l’assoluta necessità di ottenere certezze da parte del governo in merito alle risorse, indispensabili per rendere effettivi i trasferimenti di funzioni

Un mese di tempo per decidere il futuro delle Province del Piemonte

 COMPONENTI CISL: BESSONE-SCARZELLO-PUNZI-FEA-ROSSO

Da “La Stampa”


Torino - 29.08.2012 - OGGI A TORINO LA RIUNIONE

Un mese di tempo per decidere il futuro delle Province del Piemonte

Il Consiglio delle autonomie ha definito le scadenze: entro il 2 ottobre la proposta di riordino da trasmettere alla Regione e nei venti giorni successivi al Governo.

Una road map per ridefinire i confini delle province del Piemonte. E' stata tracciata oggi pomeriggio nella riunione del Consiglio delle autonomie locali del Piemonte (Cal) a Palazzo Lascaris che ha presentato il programma di lavoro per arrivare all'obiettivo di riordino territoriale previsto dal Governo nella spending review.

Tre sono le date fondamentali : entro il 2 ottobre dovrà essere redatta la proposta del Cal presieduto da Carlo Riva Vercellotti, al vertice della Provincia di Vercelli, il 3 ottobre questa dovrà essere trasmessa alla Regione Piemonte che avrà a disposizione venti giorni (entro il 23 ottobre) per la proposta ufficiale al Governo Monti. Lunedì 10 settembre, invece, è in calendario una seduta congiunta con il Consiglio regionale del Piemonte.

"Abbiamo poco più di un mese per redigere la proposta sulle nuove Province del Piemonte, siamo pronti alla sfida della creazione di istituzioni intermedie fra Comuni e Regione per il governo in aree vaste delle importanti competenze che gli sono attribuite: politiche per l’ambiente, programmazione territoriale e delle infrastrutture e dei trasporti, edilizia scolastica per le scuole secondarie”, ha sottolineato il presidente del Cal Piemonte.

29 agosto 2012

Le Province "passano" ai sindaci

RSU CGIL: Claudio Bongiovanni, Valter Giordano, Guido Marino, Paolo Armando e Franco Ferraro

tratto dal sole24ore

Il conto alla rovescia per il riordino delle Province è cominciato. Già entro la prossima settimana, secondo lo stringente cronoprogramma fissato dal decreto legge sulla spending review (il Dl 95, convertito a inizio agosto dalla legge 135), dovrebbe essere sistemato il primo mattone di questa nuova costruzione istituzionale, che sarà pronta – come è stato ricordato anche dal consiglio dei ministri di venerdì – entro fine anno e promette di essere assai più leggera ed economica dell'attuale sistema. Entro il 5 settembre dovrebbe, infatti, vedere la luce il decreto del Governo che individua le funzioni di competenza statale che ora sono svolte dalle Province e che, nel futuro assetto, saranno trasferite ai Comuni.
Il cantiere ferve, però, anche a livello locale, dove le amministrazioni destinate a scomparire si ingegnano per trovare la quadra della nuova geografia, con accorpamenti di territori che consentano di rientrare nei parametri indicati dal Governo: almeno 350mila abitanti e 2.500 chilometri quadrati di superficie. Per ora si tratta solo di ipotesi, più o meno realizzabili. Non sarà comunque facile, come spiega il responsabile della Provincia di Sondrio, Massimo Sertori, che giovedì ha coordinato, in qualità di presidente dell'Unione delle Province lombarde, il primo incontro con gli altri suoi colleghi. «Non siamo contrari alla riorganizzazione – afferma il leghista Sertori – ma questo programma con questi parametri è irrealizzabile. Non si tiene conto delle specificità di ciascun territorio e del fatto che la Regione Lombardia ha conferito alle Province oltre 150 funzioni».
Non sarà per niente semplice anche perché il calendario è incalzante: entro il 15 ottobre (al massimo entro il 24 dello stesso mese nei casi in cui le Regioni non hanno avanzato alcuna proposta di "rimpasto") il Governo dovrà tirare le fila e disegnare la nuova mappa. Ma non è solo la ristrettezza dei tempi a destare perplessità – dopo che di interventi sulle Province, dall'abolizione totale alla risistemazione, si parla da tempo – quanto anche il susseguirsi delle scadenze. Con la stranezza (sicuramente un lapsus del legislatore) che le regioni possono inviare le loro proposte di riordino anche dopo il 15 ottobre, ovvero dopo il termine entro cui il Governo deve chiudere la partita.
Eppure questa volta pare sia la volta buona. Ne è convinto Piero Antonelli, direttore generale dell'Upi, l'Unione delle Province: «Magari non nei tempi fissati dalla legge, ma entro l'anno la riforma arriverà. La volontà delle Province c'è tutta e già ci si sta muovendo. Ora si è nella fase di organizzazione del lavoro, che entrerà nel vivo la prossima settimana. Abbiamo già fissato per il 12 settembre un incontro a Roma con i presidenti provinciali dell'Upi in cui faremo un primo punto».
C'è poi il fatto che alla riorganizzazione delle Province è legata un'altra serie di interventi, a iniziare da quelli sugli uffici territoriali del Governo, prefetture in testa. A tenere insieme il tutto è poi l'attesa dei risparmi, che solo per le Province sono stati stimati in poco più di 2 miliardi di euro.
Più difficile è, invece, dire che cosa succederà una volta varato il riordino: le nuove amministrazioni diventeranno subito operative? Questo, però, vorrebbe dire mandare a casa prima del tempo gli attuali presidenti. Con non pochi dubbi di legittimità costituzionale su una simile manovra. Anche perché si creerebbe una situazione di disparità nei confronti sia dei presidenti delle Province non soggette al riordino (che non avrebbero alcun motivo di lasciare l'incarico) sia di quelli delle Regioni a statuto speciale, dove di riorganizzazione si inizierà a parlare nel nuovo anno. Nel timing manca, dunque, una data: quella di effettivo debutto del futuro assetto.

 Di Antonello Cherchi

link diretto all'articolo tratto dal sole 24ore

Province, ipotesi di fusioni possibili

                         RSU CGIL              Claudio Bongiovanni, Valter Giordano, Guido Marino, Paolo Armando e Franco Ferraro

 

Province, le fusioni possibili
27 ago 2012 - Le ipotesi di proposta di accorpamento delle province, da presentare al governo entro la fine di settembre. Ecco la possibile mappa. Sono escluse le regioni autonome


In blu le 10 città metropolitane, che non saranno più "doppioni" dei 10 comuni attuali

 

 

 

 

27 agosto 2012

Province, rivoluzione al via saranno 50 entro dicembre

COMPONENTI CISL: BESSONE-SCARZELLO-PUNZI-FEA-ROSSO

Da “ Il Messaggero”

Province, rivoluzione al via saranno 50 entro dicembre

La spending review di Patroni Griffi. Rivolta degli enti locali. Comincia anche l'era delle Città metropolitane a partire da Roma

ROMA - Tra i mille, gravosi, impegni autunnali di palazzo Chigi ce n’è uno che almeno fa sorridere: trovare 50 nomi da affibbiare alle nuove Province che stanno per nascere in sostituzione delle 86 appartenenti alle Regioni a statuto ordinario che dovrebbero morire entro l’anno.

Difficile però accoppiare fantasia e potere. Per quel che se ne sa finora sta spuntando la Provincia del Gusto che dovrebbe raggruppare Parma (prosciutto); Reggio Emilia (parmigiano); Modena (aceto balsamico). Ed ecco la Provincia della Costa Toscana che spazierà da Livorno a Massa ma con capoluogo Pisa superando in un fiato persino la radicata incompatibilità fra livornesi e pisani.

Più a Nord, in Lombardia, sta per nascere la Provincia dell’Industria dal raggruppamento delle operose Monza-Brianza, Varese e Como. Il Sud per ora risponde con denominazioni low profile, più legate alla geografia. Adriatica, è il nome dell’ipotetica Area-Vasta (questo il nome burocratico delle nuove province) che in Abruzzo dovrebbe accorpare le province di Pescara, Teramo e Chieti mentre Irpino-Sannitica potrebbe essere la denominazione del nuovo ente che unificherà i territori di Avellino e Benevento.

Fatto sta che la nuova toponomastica provinciale sta gettando lo scompiglio nell’eterna Italia dei campanili. Ovunque, a partire da oggi, è un rincorrersi di riunioni e di vertici fra sindaci, presidenti di Provincia, presidenti di Regione.

Già perché entro il 30 settembre le Regioni devono presentare al governo (che varerà il tutto entro Natale) la mappa delle nuove province riaccorpando il potere territoriale dopo la ventata del decreto spending review che ha spazzato via le 46 province italiane con meno di 350 mila abitanti o un’estensione territoriale inferiore a 2.500 chilometri quadri. In gioco non c’è solo da redistribuzione dei deboli poteri delle amministrazioni provinciali (che, tutte insieme, gestiscono solo 13 miliardi di spesa pubblica sul totale complessivo di circa 800 miliardi), ma soprattutto la difesa dei posti di lavoro e del prestigio garantito dagli uffici statali che resteranno solo nei nuovi capoluoghi di Provincia.

Il decreto spending review è chiaro: dopo più di 100 anni di continui allargamenti, gli uffici pubblici sul territorio si avviano a una netta cura dimagrante e le Prefetture (ma anche gli altri uffici del fisco, gli ispettorati del lavoro, le Soprintendenze e così via ) saranno tagliati. Assieme alle Province diminuiranno drasticamente i posti di direttore provinciale di un’infinità di amministrazioni (Inps e Inail compresi) e dunque si riducono le possibilità di carriera per migliaia di dipendenti pubblici.

«Si tratta di un’operazione ineludibile - sottolinea il ministro della Funzione Pubblica, Filippo Patroni Griffi -. Tutti a parole sono favorevoli alla diminuzione delle Province ma poi di fatto sono aumentate. Il nostro è un riordino ragionato che serve anche a delineare uno Stato più moderno».

Non la pensano così moltissimi politici locali. Ma anche vescovi, giornali, imprenditori, dirigenti e impiegati delle amministrazioni territoriali. C’è chi sta tentando di sfuggire alle grinfie del decreto con il classico escamotage all’italiana. A Benevento hanno pensato di uscire dalla Campania per unirsi al Molise. Anche Terni, pur di salvare lo status di capoluogo sta riflettendo se raggiungere Viterbo e Rieti o una delle due province.

Un aspetto particolare di questa mini-rivoluzione è quello delle amministrazioni provinciali delle 10 città italiane più importanti. Finora - almeno nella maggior parte dei casi - sono stati dei veri e propri doppioni dei Comuni ma adesso la pacchia sembra finita. Che cosa prevede la legge? Che dal 2013 il sindaco di Roma o di Bari o di Genova diventi automaticamente anche presidente della Città Metropolitana-ex Provincia. Quindi a meno di sorprese giuridiche (sono in arrivo valanghe di ricorsi alla Corte costituzionale) il prossimo sindaco di Roma, dopo le elezioni del 2013, assumerà anche i poteri dell’attuale presidente della Provincia.

Almeno all’inizio, la Città Metropolitana comprenderà tutti i Comuni delle attuali province delle 10 città più importanti ma i sindaci, già da settembre, potranno anche decidere di uscirne entrando in una provincia limitrofa. Quindi, ad esempio, se Civitavecchia dovesse ritenere opportuno uscire dalla Città metropolitana di Roma potrebbe scegliere di entrare nella nuova provincia della Tuscia e della Sabina.

Resta inteso che ogni Città Metropolitana, nei prossimi anni, si darà un proprio Statuto e potrà scegliere di farsi rappresentare da un sindaco diverso da quello della città principale. Insomma, ci vorrà un po’ di tempo per capire davvero quanti capoluoghi di provincia dovranno imparare a memoria i ragazzini delle elementari del futuro.



21 agosto 2012

Intervista a Patroni Griffi

COMPONENTI CISL:BESSONE-SCARZELLO-PUNZI-FEA-ROSSO

da "La Stampa"

21/08/2012 - intervista


Patroni Griffi: "Sarà un autunno movimentato"
 Filippo Patroni Griffi, ministro della Funzione pubblica e della Semplificazione
Il ministro: "Snelliremo la macchina pubblica, ma non si parli di licenziamenti di massa"

ROMA

L’Italia e l’Europa non sono due entità distinte. Con il rigore seguiamo un’ottica di politica europea». Il ministro per la Funzione pubblica, Filippo Patroni Griffi, plaude alle tesi del premier Monti e replica duramente ai sindacati: «Basta messaggi da bar, del tipo saranno colpiti deboli e meno raccomandati». «Al leader della Uil, Angeletti dico che invece di auspicare che ci sia capacità di selezionare nei “tagli” farebbe bene a partecipare all’elaborazione dei criteri per la ricollocazione del personale».
Sarà un autunno caldo...
«Più che caldo movimentato, almeno nel settore pubblico. Lavoreremo alla riduzione della macchina pubblica perché sia più efficiente. Ci potranno essere posizioni in esubero, ma per questo ricorreremo ai prepensionamenti e alla mobilità. Una ridistribuzione qualificata dei dipendenti sarà il nostro obiettivo e i sindacati dovrebbero capirlo senza paventare una sorta di licenziamenti di massa nel pubblico. Auspico che non si enfatizzino i momenti di conflitto».
Diversamente non ce la farà nessuno in Italia ma anche in Europa?
«Monti ha ragione quando spiega che è bene evitare il paradosso per cui l’euro, da elemento simbolico dell’integrazione europea, diventi detonatore di una implosione. Gli sforzi vanno visti come momento di una politica che si gioca anche altrove. Insomma, si deve arrivare al tavolo Ue con le carte in regole».
Per evitare il ricorso allo scudo anti-spread?
«Monti ha riportato l’Italia al centro delle scenario internazionale. Ha dato credibilità alle nostre politiche dimostrando che l’Italia può operare scelte nel segno di una credibile politica del rigore. Ma qualsiasi nostra mossa deve avere le spalle assolutamente coperte sul piano nazionale. Detto questo, giocheremo da attori la partita e non come quelli che subiscono qualcosa».
Dunque, altri sacrifici: ma gli organismi europei ci chiedono risorse per la crescita...
«Bisogna mantenere la guardia sui conti pubblici, puntare sulla spending review e liberare risorse economiche private. Ha ragione Elsa Fornero: ora tocca agli imprenditori. Noi dobbiamo creare l’ambiente favorevole per gli investimenti con ulteriori liberalizzazioni, semplificazioni e leggi anti-corruzione. Bisogna rimuovere ciò che è di ostacolo agli investimenti con l’impegno di tutti i protagonisti del Paese, a cominciare da Enti locali e Regioni. I Comuni, ad esempio, non debbono vivere l’arrivo di un insediamento produttivo sul territorio come un fardello inutile o come un’occasione per lucrare vantaggi personali... per non dire di peggio».
Ministro vuole scaricare le responsabilità su altri?
«No, ma un’impresa non può chiedere tre o quattro autorizzazioni per volta per insediarsi, ma deve presentare una sola domanda con un’unica autorizzazione. Chiunque decida di investire e non ha certezze sui tempi e sulle regole impiega altrove le risorse di cui dispone. E visto che quelle pubbliche sono esigue occorrono sinergie perché i capitali privati che in Italia ancora esistono possano essere utilizzati al meglio».
Già, ma gli imprenditori chiedono agevolazioni e il rilancio del consumi...
«Loro chiedono certezze, tempi rapidi e trasparenza. Le amministrazioni devono essere efficienti ed evitare rischi di corruzione. Il disegno di legge anti-corruzione è fondamentale, almeno per due ragioni: la prima è di tipo etico, e si capisce; la seconda è che l’Italia deve assolvere a specifici impegni internazionali. È vero, ci sono molte difficoltà politiche su queste misure, ma il nostro Paese può sottrarsi in questo momento economico alla responsabilità di adempiere a questo dovere? Spero veramente che, pur nelle comprensibili contrapposizioni politiche, il provvedimento veda luce».
Venerdì il Consiglio dei ministri tornerà a riunirsi. Si parlerà di tagli alla spesa e agenda digitale. Ma ci sono i fondi sul tavolo?
«Sono pochi, in effetti, ma tutte le misure di tipo strutturale avranno l’obiettivo di rilanciare l’economia. È necessario svincolarci da un’idea di sviluppo che si veda tangibilmente con opere materiali, ospedali, ponti, ferrovie. Certo il settore infrastrutturale va favorito, magari con la riqualificazione urbana, ma accanto a questo in una società moderna lo sviluppo è fatto di servizio efficienti e accesso alla rete».
Basta questo?
No, ma si consideri che all’estero ci sono ampie risorse disponibili che attendono di essere investite, e se noi vogliano intercettare questo flusso dobbiamo proporre un sistema produttivo che funzioni».
Nelle prossime settimane si discuterà il futuro delle Province: un’altra battaglia?
«Sarà un’occasione per ridisegnare la presenza pubblica sul territorio e riordinare la presenza dello Stato. Perché quando andremo a ridisegnare le province rivedremo anche questure, Prefetture, uffici scolastici e via dicendo».



Spending review 2012: il Governo vara l’abolizione delle Prefetture?

COMPONENTI CISL: BESSONE-SCARZELLO-PUNZI-FEA-ROSSO

Spending review 2012: il Governo vara l’abolizione delle Prefetture?

Grazie ad un ordine del giorno della Lega Nord i il governo ha approvato, insieme al riordino delle province, l’abolizione delle Prefetture

Il ministro della Funzione pubblica, circa due settimane fa, aveva ventilato l’ipotesi di una possibilità di abolire le prefetture, in concomitanza al riordino dell Province, aveva spiegato Filippo Patroni Griffi, la mancanza del commissario governativo nelle città capoluogo “va quasi in automatico. Lo stesso vale per tutto gli uffici periferici dello Stato“. Sin qui però erano state solo parole, ci ha pensato a concretizzarle il deputato leghista Marco Rondini, autore di un Ordine del Giorno accolto il 7 agosto dal Governo durante il dibattito in merito alla conversione in legge del decreto spending review.

Il documento leghista si pone l’obiettivo che Palazzo Chigi si impegni a “verificare l’opportunità di idonee iniziative volte a introdurre efficaci misure di controllo e monitoraggio delle singole voci di spesa riferite rispettivamente a ciascuna prefettura per ciascun ambito territoriale, in particolare al fine di verificare e rendere pubblici i dati relativi all’emolumento omnicomprensivo di ogni voce remunerativa, compensativa, anche forfettariamente, di ciascun prefettura e di ciascun prefetto, prefetto vicario, vice prefetto e prefetto aggiunto, singolarmente considerata, nonché l’elenco delle voci di costo delle spese di rappresentanza e per alloggi di servizio, prevedendo anche l’obbligo di pubblicazione dei relativi dati sui siti istituzionali di ciascuna prefettura“.

In più viene impegnato il Governo, ed è questa la cosa più di rilievo, “a valutare , alla luce delle considerazioni esposte e dell’incidenza sulla spesa pubblica del mantenimento delle prefetture, di adottare iniziative volte alla loro eliminazione, atteso che l’esercizio delle funzioni da esse esercitate può essere compiutamente svolto da Regioni e Province“.

La Lega, per dirla più semplicemente, ha voluto esercitare pressione sull’Esecutivo per conoscere di preciso quanto costano le prefetture e per giungere alla sospirata abolizione appoggiandosi, magari, all’occasione propiziata dalla riorganizzazione delle Province e dalla spending review che all’articolo 10 della stabilisce proprio una “razionalizzazione” degli uffici governativi.

“Le strutture periferiche dei servizi in capo alle prefetture – spiega Rondini – rappresentano un consistente volume di spesa per lo Stato: retribuzioni, contratti di locazione di sedi e distaccamenti locali, consumi intermedi, acquisto di beni e servizi. Peraltro – sottolinea – con notevoli differenziazioni territoriali. Ogni prefettura presente in ciascuna delle province del territorio italiano svolge servizi analoghi, sia che si tratti di territori con scarsa popolazione, sia che si tratti di comuni capoluogo di notevoli dimensioni“.

Dal momento che sono state inserite nel nostro ordinamento alcune norme che incrementano la trasparenza delle pubbliche amministrazioni, sostiene Rondini ” è bene che si applichino anche alle prefetture, così che ogni cittadino possa avere un’idea chiara di quanto persino sulla comunità gli stipendi dei prefetti, le spese di rappresentanza, i beni immobili e mobili in dotazione agli uffici, gli adempimenti connessi alle spese d’ufficio, l’utilizzo del personale di accompagnamento, segreteria ed auto di servizio, oltre alle spese per gli alloggi di servizio dei prefetti“.

Attendendo di avere dati dettagliati in mano, il parlamentare prova a sbilanciarsi dicendo che “non saranno cifre irrilevanti” e aggiunge “vale la pena pensare ad abolire queste strutture e trasferire le competenze che esercitano in capo alle Province e alle Regioni“. Un mutamento che per l’esponente del Carroccio potrebbe semplicemente essere messo in atto senza troppi problemi. “Magari – propone – trasferendo complessivamente le funzioni di coordinamento delle forze dell’ordine attualmente esercitato dal prefetto in capo agli assessori alla sicurezza degli enti territoriali“.

Costi standard e statali, è già partita la spending review autunnale


RSU CGIL: Claudio Bongiovanni, Valter Giordano, Guido Marino, Paolo Armando e Franco Ferraro

Spending review tutt’altro che chiusa: già pronto uno studio che punta a risparmiare altri 10 miliardi con la definizione dei costi standard.


spendingreview
Spending review archiviata? Neanche per sogno. Con il decreto sulla revisione della spesa licenziato dal Parlamento, grazie soprattutto al paracadute della doppia fiducia (rispettivamente la numero 33 e 34 dell’era Monti) chiesta dal governo a Senato e Camera, l’attenzione è già spostata a settembre, quando avverrà quello che il supercommissario alla spending review Enrico Bondi ha denominato il “redde rationem” della spesa pubblica.
Il focus della “spending review 2” sarà puntato sugli enti e le autonomie locali. Neanche il tempo di farsi i conti in tasca, per le amministrazioni periferiche, e spunta già il rasoio che promette nuovi e profondi tagli ai bilanci. Dalla spending review convertita in legge, infatti, gli enti locali sono usciti con le ossa rotte: innanzitutto, l’accorpamento di 64 Province al di sotto dei 350mila abitanti o dei 2500 chilometri quadrati, divise tra 50 nelle Regioni ordinarie e altre 14 in quelle a statuto speciale. Anche dalla parte delle Regioni stesse, però, non ha tirato un vento propizio: la spending review si porterà via infatti dalla voce “trasferimenti centrali” 700 milioni nel 2012 e oltre un miliardo nel 2013 e 2014. Sorridono solo i Comuni, che si sono visti riconoscere un contributo di 800 milioni di euro.
Ma le  note liete sono finite qui per le amministrazioni locali. Nel mirino del premier Mario Monti e del suo “cecchino” degli sprechi Enrico Bondi, finiscono ora i costi standard degli acquisti di beni e servizi da parte degli apparati di governo territoriale. Il pool ai comandi del supercommissario ha infatti messo a punto uno studio che costituisce la base dati del decreto in programma già nel prossimo mese, aprendo di fatto la via alla spending review autunnale.
Secondo i segugi dello sciupio di denaro pubblico, Regioni, Province e Comuni avrebbero instaurato un regime di eccessi di spesa che si situa nella forchetta tra il 25% e il 40% dei 60 miliardi di complessivi erogati per beni e servizi. Di questi, circa due miliardi sarebbero proprio generati dalle Province. Obiettivo della “squadra speciale spending review” è quello di coniugare questi dati statistici al parametro dell’efficienza, per sfondare il muro di 10 miliardi di risparmi, che si vanno ad aggiungere ai 26 della riforma già varata dalle Camere. Negli intenti dell’esecutivo, a guidare il cambiamento sarà la piattaforma Consip, che catalizzerà centralmente tutti i piani di acquisto degli enti.
La riduzione dell’esborso camminerà di pari passo alla riforma delle piante organiche già inclusa nel testo divenuto legge, con gli esuberi (anunciati in 24mila, ma non ancora definiti con precisione) e il taglio del 20% dei dirigenti e del 10% dei dipendenti pubblici. Un fronte che ha già scaldato i sindacati, pronti a scendere in piazza in sciopero generale il 28 settembre, in protesta contro i prepensionamenti, le messe in mobilità e la stretta a buoni pasto e ferie non godute. Montano anche i rimbrotti dell’Anci, che ha già annunciato di sciogliere i vincoli del patto di stabilità, minacciando addirittura la chiusura dei serivizi. Nodi, questi, su cui rischia seriamente di incepparsi la seconda fase della spending review.
“Non e’ vero che chi piu’ spende è più virtuoso – ha sottolineato Bondi di recente – bisogna andare a vedere i livelli dei servizi ai cittadini, non per ridurli ma per razionalizzarli”. Lo scopo finale di questa ondata di decreti sulla spesa, comunque, resta sempre la riduzione del debito pubblico, tramite ulteriori misure di risparmio, ad esempio nelle intercettazioni (si parla di 5 milioni) o, in maniera più profonda, nelle dismissioni del patrimonio immobiliare pubblico.

Esuberi nel pubblico impiego: interviene Patroni Griffi

RSU CGIL: Claudio Bongiovanni, Valter Giordano, Guido Marino, Paolo Armando e Franco Ferraro

“La P.A. va razionalizzata, no ai tagli lineari”. Il Ministro per la funzione pubblica spiega le strategie sui 24.000 esuberi nella P.A.


patroni-griffi
Intervistato da TGcom24, il Ministro per la funzione pubblica Filippo Patroni Griffi ha spiegato, in riferimento ai 24.000 dipendenti della Pubblica Amministrazione individuati in esubero (di cui 11.000 statali), che non tutti sono “esuberi effettivi” e ha confermato l’impegno del Governo per operazioni di “razionalizzazione e riordino” in sostituzione alla logica semplicistica dei tagli lineari. Se quella dei 24.000 esuberi è la “fotografia dell’esistente”, il Ministro si è dichiarato disposto a verificare caso per caso le migliori soluzioni possibili: “Proprio perché procederemo di amministrazione in amministrazione faremo spostamenti e compensazioni caso per caso. Il 31 ottobre saremo in grado di dare le cifre degli esuberi per le amministrazioni statali, mentre per le realtà locali il discorso è più complesso”.
Patroni Griffi ha anche rivolto un appello ai sindacati a cogliere l’opportunità di essere co-protagonisti del processo di riforma in corso nella Pubblica Amministrazione e a non subirlo passivamente. Si tratta, ha spiegato il Ministro, di “un cammino innovativo e centrale per il settore pubblico. Già nella riallocazione delle risorse costringeremo le amministrazioni a ripensare le loro politiche di spesa per evitare duplicazioni”.
Parlando poi delle dimensioni del settore del pubblico impiego in Italia, Patroni Griffi ha spiegato di non ritenerlo “sovradimensionato rispetto alla media europea, ma in un momento di crisi bisogna tagliare dove non sia indispensabile, ridurre gli sprechi, ridimensionare l’apparato e razionalizzarlo senza che ciò si traduca in servizi peggiori al cittadino. Questo del 10% e del 20% [tale la riduzione prevista, rispettivamente, per i dipendenti e per i ruoli dirigenziali nella P.A.] è un obiettivo finale, calibreremo il personale in funzione delle missioni delle singole amministrazioni. Confermata la fermezza contro i “fannulloni” di brunettiana memoria, ma la c.d. “Legge Brunetta” era, secondo il Ministro, un “sistema troppo rigido” il cui merito “fu porre al centro del recupero della produttività la valutazione dei dipendenti”.
Passando infine a parlare della Spending Review, Patroni Griffi ha confermato l’approdo del dimezzamento delle Province, dove anche in questo caso si tratterà di “un riordino per evitare una duplicazione di compiti tra Comuni e Regioni”. Al momento, infatti, ha concluso il Ministro, ci sarebbero ancora “troppi piccoli centri di potere che impediscono la realizzazione di un sistema riformatore di grande portata. I territori sapranno cogliere la sfida per ammodernare il sistema di governo”.

 ink diretto all'articolo tratto dal sito: leggioggi.it

Un dpcm definirà la dotazione ottimale in rapporto ai residenti

RSU CGIL: Claudio Bongiovanni, Valter Giordano, Guido Marino, Paolo Armando e Franco Ferraro



Enti, gli organici scampano ai tagli
Un dpcm definirà la dotazione ottimale in rapporto ai residenti Gli enti locali sono, per ora, fuori dai tagli sostanzialmente lineari alle dotazioni organiche previste dal decreto sulla spending review in via espressa solo per le amministrazioni statali.Tuttavia, una cura dimagrante è egualmente prevista anche per comuni e province (in attesa del destino di queste ultime), attraverso un successivo decreto del presidente del consiglio dei ministri, da emanare entro il 31 dicembre 2012 d'intesa con Conferenza stato-città e autonomie locali.La spending review del supercommissario Enrico Bondi riprende, in parte, l'idea mai attuata contenuta nell'articolo 76, comma 6, del dl 112/2008, convertito in legge 133/2008: agganciare, cioè, le possibilità degli enti locali di ridurre in modo differenziato la spesa per il personale in servizio e di determinare le dotazioni organiche.Il dpcm cui rinvia la spending review avrà proprio il compito di definire «parametri di virtuosità» sulla base dei quali gli enti locali dovranno stabilire la dotazione organica ottimale, «in rapporto alla popolazione residente».Dunque, la spending review impone di abbandonare sia il criterio della storicizzazione della dotazione organica, sia quello dell'adeguamento delle dotazioni a particolari competenze che gli enti svolgano.Il dpcm stabilirà la media nazionale del personale in servizio presso gli enti, comprendendo nel numero anche i dipendenti presso le società di cui all'articolo 76, comma 7, terzo periodo, del decreto-legge 112/2008, cioè società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che sono titolari di affidamento diretto di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgono funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale, né commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica. Divenuto efficace il dpcm e determinata la media, gli enti con una dotazione organica superiore del 20% non potranno effettuare assunzioni a qualsiasi titolo, si deve presumere finché la dotazione non scenda al di sotto della media, fermi restando i limiti assunzionali vigenti. Gli enti ancor meno virtuosi, con una dotazione superiore del 40% rispetto alla media dovranno applicare le misure di riduzione della dotazione organica fissate per le amministrazioni statali: riduzioni del 20% della dirigenza, 10% degli altri dipendenti con avvio delle procedure per la dichiarazione di esubero.Resta aperto il problema del corretto computo delle dotazioni. Non bisogna dimenticare che alcuni enti locali, in funzione di leggi statali e soprattutto regionali, hanno acquisito personale direttamente da tali enti, insieme con le funzioni loro trasferite per effetto delle leggi attuative del decentramento amministrativo disposto col dlgs 112/1998.In particolare, dei 56 mila circa dipendenti provinciali, circa 5–6 mila sono stati trasferiti nel 2000 con le funzioni del collocamento. Altri 3 mila circa sono stati trasferiti dalle regioni.In ogni caso, per le province il decreto sulla spending review stabilisce che nelle more dell'attuazione delle disposizioni di riduzione e razionalizzazione di tali enti, ad essi è vietato di effettuare assunzioni di personale a tempo indeterminato. Qualunque sia, dunque, il loro grado di virtuosità in tema di spesa di personale. Una vera e propria contraddizione in termini, visto che tale grado potrebbe essere uno degli elementi per stabilire quali province lasciare in piedi, con le loro funzioni.Curiosamente, il divieto di assunzioni per le province non si estende al personale a tempo determinato, anche se da questo momento in avanti sarà piuttosto difficile per le province, destinate allo svuotamento, reclutare personale anche flessibile.Quest'ultima norma rivela che le province sono, ormai, enti privi di una reale autonomia organizzativa ed operativa. C'è da sottolineare che nel decreto sulla spending review mancano analoghe norme, probabilmente invece necessarie, di divieto ad attivare progetti e contratti di carattere pluriennale.

 link diretto all'articolo tratto dal sito il personale.it

09 agosto 2012

Province: razionalizzazione per acquisire più efficienza

Componenti CISL: BESSONE-SCARZELLO-PUNZI-FEA-ROSSO

Province: razionalizzazione per acquisire più efficienza


Le Province Piemontesi raccolgono la sfida del riordino e della razionalizzazione

L’Unione Province Piemontesi raccoglie con piena adesione la posizione espressa dall’UPI al neo Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Monti. “Anche dal Piemonte c’è disponibilità immediata nell’avviare un confronto con il Governo e con il Presidente della Regione Roberto Cota per definire le modalità che ci guideranno nel riordino dell’assetto istituzionale dello Stato che passa attraverso una riorganizzazione delle Province” afferma il Presidente dell’UPP Massimo Nobili.

“E’ una sfida che siamo pronti ad affrontare anche con una legge ordinaria e che non ci spaventa perché siamo consapevoli del momento di emergenza economica e sociale che sta vivendo il Paese e che ci richiama tutti alla massima responsabilità. L’obiettivo deve essere razionalizzare il sistema delle autonomie locali con Enti Intermedi più efficienti nel rispondere alle esigenze, attuali e future, delle comunità locali” evidenzia Nobili.

“Il frangente attuale è già motivo di forte disorientamento sociale e riteniamo che siano da rifuggire stravolgimenti di un punto di riferimento fondamentale per la vita del Paese quale la Carta Costituzionale e delle Istituzioni da essa previste e sancite. Diventa piuttosto indilazionabile una revisione dell’impianto istituzionale su cui si regge lo Stato, per renderlo più funzionale a rispondere agli attacchi della crisi e a sostenere i territori che sono le cellule vitali del tessuto socio-economico nazionale” rimarca il Presidente dell’UPP.

“Azione prioritaria – continua – deve essere dunque quella di ridisegnare Province dagli ambiti e competenze sempre più ampi. Un risultato da raggiungere con la diminuzione del loro numero e una crescita delle loro funzioni e compiti per poter davvero incidere nel governo e nello sviluppo dei territori”.

“Questo lavoro di riordino, razionalizzazione, ri-funzionalizzazione dovrà essere contestuale a un’opera di superamento delle sovrapposizioni determinate da strutture che non hanno una diretta legittimazione democratica e origine di un aumento dei costi della spesa pubblica. Su questa le Province incidono molto meno di quello che in questi mesi è stato fatto credere: un riscontro tecnico – fa sapere Nobili – lo avremo con lo studio realizzato dall’Università Bocconi e che verrà presentato il prossimo 5 dicembre all’Assemblea Generale dell’Upi insieme a un sondaggio IPSOS che ci farà capire qual è la reale percezione degli Italiani nei confronti di questi nostri Enti territoriali”.

04 agosto 2012

ITALIA OGGI: Sulle province previsto un casino

RSU CGIL: Claudio Bongiovanni, Valter Giordano, Guido Marino, Paolo Armando e Franco Ferraro

RASSEGNA STAMPA TRATTA DA ITALIA OGGI

Sulle province previsto un casino

Di Marco Bertoncini
Sulle province previsto un casino

Quale sarà la soluzione adottata per le province accorpate? Lasciamo da parte tutti gli interrogativi che si pongono sul destino degli articoli 17 e 18 del decreto-legge 95, che disciplinano ex novo province e città metropolitane. Non sono pochi, perché vanno dai cambiamenti introdotti in questi giorni dal senato (e presumibilmente immutati fino alla promulgazione), ai possibili interventi della Corte costituzionale, ai pronunciamenti che la giustizia amministrativa sarà chiamata senz'altro a operare.
Lasciamo da parte altresì le peculiari condizioni delle province friulane, siciliane e sarde che, nonostante le previsioni contenute specificamente nell'art. 17 per l'adeguamento ordinamentale delle regioni a statuto speciale, potranno verosimilmente sottrarsi a una disciplina che facilmente la Corte costituzionale non la-scerà passare sotto silenzio (pochi giorni fa ha impallinato la riduzione del numero dei consiglieri regionali nelle regioni a statuto speciale).
Ammettiamo che tutto fili liscio e che quindi fra qualche mese, nelle regioni ordinarie, si passi alla delimitazione delle nuove province. È facile prevedere quale sarà la pretesa che, qualora davvero si arrivi alla fusione, avanzeranno le province teoricamente destinate a scomparire perché assorbite da un ente confinante che superi i 350mila abitanti e i 2.500 kmq stabiliti dal governo ovvero perché, insieme con altri enti che non raggiungono ciascuno tali requisiti, riescano a superarli.
Per serbare almeno l'immagine della perpetuità dell'ente da sciogliere chiederanno due cose: l'aggiunta della dizione della propria provincia a quello dell'altro ente (o degli altri enti) con cui avverrà l'accorpamento; il mantenimento del capoluogo. La prima richiesta potrà essere esaudita anche in altra maniera, mercé una nuova intitolazione del nuovo ente che non faccia riferimento ad alcuna delle province accorpate. Per fare qualche esempio: potrebbero nascere le province di Pisa-Livorno, Modena-Reggio, Imperia-Savona.
Le intitolazioni potrebbero avere la congiunzione «e» (sul modello di Pesaro e Urbino) o il trattino (come Forlì-Cesena). Potrebbero apparire nuove denominazioni o recuperi d'intitolazione in uso nei secoli andati: si parla di provincia Adriatica per Chieti, Pescara e Teramo, di Romagna per Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini. In questo modo si attuerebbe una sorta di parità esteriore fra provincia accorpante e provincia accorpata. Soprattutto, però, sarebbe importante l'individuazione del capoluogo.
La soluzione è fornita dall'ineffabile legge n. 148 del 2004, istitutiva della provincia di Barletta-Andria-Trani, che prevede testualmente: «Il capoluogo della nuova provincia è situato nelle città di Barletta, Andria e Trani». Non è, dunque, individuato un comune capoluogo. Una soluzione del genere permetterebbe, facendo un esempio a caso, che dall'accorpamento delle province attuali di Lodi, Cremona e Mantova sorgesse la provincia di Cremona-Lodi-Mantova, con capoluogo «nelle città di Cremona, Lodi e Mantova». Si noti che, nel caso della provincia di Pesaro e Urbino, il doppio capoluogo è previsto dallo statuto provinciale. Ovviamente la totale parità fra i comuni sedi del capoluogo sarebbe poi rimarcata dalla mancata individuazione di un luogo fisso di riunione per il consiglio provinciale (la giunta non sussisterà più), oppure dalla spartizione: il presidente sta in un capoluogo, il consiglio in un altro.
Il modello potrebbe essere quello ecclesiale. Quando la Chiesa accorpò molte sedi vescovili della penisola, nel 1986, aggiunse alla denominazione della diocesi maggiore quello della minore accorpata (Ravenna-Cervia, Ferrara-Comacchio, Reggio Calabria-Bova), cosicché accanto alla cattedrale vi fosse una concattedrale nell'episcopio minore. Il linguaggio canonico usa l'espressione aeque principaliter, ossia egualmente importanti. In tal modo la teorica nuova provincia di Macerata-Fermo-Ascoli potrebbe serbare i tre nomi delle dissolte province e tre sedi capoluogo, aeque principaliter.
E lo Stato come se la caverebbe con i propri organi decentrati? Certo, il comune nel quale andasse l'unica sede prefettizia apparirebbe come il vero capoluogo. Bisognerebbe dunque calibrare il decentramento, lasciando negli altri comuni capoluogo altri uffici periferici, certo meno importanti della prefettura (anche perché l'intendimento proclamato è di unire nella sede territoriale del governo il maggior numero di sedi statali).
Attenzione, però. Clemente Mastella, strenuo difensore del proprio Sannio, è già intervenuto presso il ministro Filippo Patroni Griffi per tutelare Benevento dall'accorpamento con Avellino. Avrebbe avuto rassicurazioni sul fatto che il governo intenderebbe individuare, come capoluogo (all'evidenza, unico) il comune più popoloso (nel caso, Benevento, tranquillizzando Mastella). Ma accetterebbe la provincia più popolosa di avere come capoluogo l'ex capoluogo della provincia minore accorpata?

E’ possibile derogare all’art. 133, c.1, della Costituzione in caso di riordino complessivo delle province?

RSU CGIL: Claudio Bongiovanni, Valter Giordano, Guido Marino, Paolo Armando e Franco Ferraro

E’ possibile derogare all’art. 133, c.1, della Costituzione in caso di riordino complessivo delle province?

Rassegna stampa - link all'articolo


Nella relazione al disegno di legge di iniziativa governativa n. 3396 per la conversione del decreto-legge n. 95/2012 (spending review) si legge: “anche a voler prescindere dalla considerazione che, trattandosi di riordino complessivo, non trova applicazione l’art. 133 della Costituzione, va rilevato in ogni caso che detto articolo è, nella sostanza, rispettato visto che i Comuni sono pienamente coinvolti tramite il Consiglio delle autonomie locali” (pag. 371 della relazione di accompagnamento). Secondo il Governo, quindi, in caso di riordino delle Province che coinvolga tutto il territorio nazionale, è possibile derogare al procedimento legislativo di tipo aggravato di cui all’art. 133, comma 1, della Carta costituzionale. La norma costituzionale, pertanto, troverebbe applicazione unicamente per modifiche di circoscrizioni provinciali ed istituzioni di nuove Province limitate all’ambito regionale. 
 
Sul punto, tuttavia, sorgono alcune perplessità. Premesso che anche il caso di riordino complessivo produce i suoi effetti sempre e comunque all’interno di una Regione, non essendo consentita un’ipotesi di riduzione/accorpamento concernente Province di Regioni contermini (perché, in questa evenienza, la Provincia dovrebbe prima staccarsi dalla Regione di appartenenza e poi aggregarsi a quella confinante ai sensi dell’art. 132, comma 2, Cost.), dalla lettura dell’art. 133, comma 1, del Testo costituzionale non pare vi siano elementi funzionali ad una interpretazione derogatoria nell’evenienza di un intervento generalizzato sulle Province. Nell’unica volta in cui la Corte costituzionale si è occupata dell’art. 133, comma 1, Cost., ossia nella sentenza n. 347/1994 relativa al caso della istituzione della Provincia di Lodi, ha solo ammesso che la istituzione di Province o la modifica di quelle esistenti può essere effettuata con legge formale oppure con ricorso ad una delega legislativa (punto 3 del cons. in dir.), ma sempre nel rispetto di quel procedimento ascensionale che vede coinvolti, in primis, i Comuni. Al potere legislativo, ha poi proseguito la Corte, “spetta soltanto (il corsivo è mio) valutare, nella fase conclusiva dello stesso procedimento, l’idoneità e l’adeguatezza dell’ambito territoriale destinato a costituire la base della nuova Provincia”. 

Infine, sostenere, come ha fatto l’Esecutivo, che la norma costituzionale è comunque rispettata in quanto prevede un coinvolgimento delle amministrazioni comunali tramite i CAL, non sembra fondato. Infatti, l’iniziativa comunale di cui all’art. 133, comma 1, Cost. si configura in modo molto diverso rispetto alla deliberazione del piano di accorpamenti e riduzioni che devono adottare i Consigli delle autonomie locali o, in mancanza, gli organi regionali di raccordo, come prevede l’art. 17, comma 2, del decreto-legge n. 95/2012. Sono i Comuni, come enti locali territoriali singolarmente considerati, ad essere titolari della riserva di competenza ad attivare un eventuale procedimento revisorio e non altri organismi. Inoltre,  l’iter procedurale previsto dal provvedimento sulla spending review delinea un percorso il cui contenuto è già precostituito dal Governo e non è affatto rimesso alla libera ed autonoma iniziativa delle amministrazioni comunali, per di più prevedendo un intervento in via sostitutiva dell’Esecutivo (art. 17, comma 4) nel caso in cui le deliberazioni non dovessero essere assunte.

Corteo dei lavoratori della Provincia di Genova

RSU CGIL: Claudio Bongiovanni, Valter Giordano, Guido Marino, Paolo Armando e Franco Ferraro

La protesta della Provincia ''Sacrifici? Tagliate Monti''

Corteo dei lavoratori della Provincia di Genova verso la Prefettura e la Regione per le conseguenze degli accorpamenti territoriali decisi dal Governo (video di Fabrizio Cerignale)

video della manifestazione   



Video UPI